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UN VIAGGIO NEL VIAGGIO POETICO
DI LUIGI FONTANELLA*
1. Giuseppe Pontiggia, in una nota in quarta di copertina dell’ultima raccolta “autonoma” di Luigi Fontanella, Azul (Archinto, Milano 2001) parla di “poesia nomade”. Nomade è Fontanella stesso, che dagli anni Settanta vive in America, con impegni prima a Princeton, poi ad Harvard, e ora alla Stony Brook State University di New York. Ma con un radicamento che rimane forte in Italia, dove ritorna spesso, tenendo lezioni in Università italiane, come le prossime su Italo Svevo a Salerno (ricordiamo la sua curatela di I. Svevo, I racconti di Murano, Empiria, Roma 2004), prendendo parte a giurie di premi letterari, presentando man mano i suoi libri, come il recente su Pier Paolo Pasolini (Pasolini rilegge Pasolini, Archinto, Milano 2005). Potremmo allora provare ad applicare a lui le categorie che il Fontanella critico letterario e della cultura tenta di affinare nel suo La parola transfuga (Cadmo, Fiesole 2003), dedicato agli scrittori italiani in America. Dunque, egli sarebbe uno “scrittore emigrante” (già scrittore prima di partire) e non un “emigrante scrittore” (come un Pascal D’Angelo che dall’apprendistato doloroso del lavoro arriva alla scrittura); uno “scrittore italiano espatriato”, che continua a scrivere in italiano (e non potrebbe farlo in inglese, perché quella della poesia, ha avuto modo di dire, è la lingua dell’anima); un “italo-italiano”, uno di quegli italiani espatriati non per le urgenze economico-lavorative di una volta, ma, a partire soprattutto dagli anni Sessanta, per ragioni professionali o per curiosità antropologica, come un Paolo Valesio, ad esempio, quegli scrittori “ubiquitari”, dunque, giunti a un “biculturalismo”, frutto del loro cosmopolitismo letterario.
2. Questo non può non avere ripercussioni sulla scrittura. Da un lato, come può essere più scontato, aprendosi alle influenze provenienti dalla cultura americana, dall’altro invece andando a scavare ancora di più nelle stesse possibilità della lingua italiana, in un accanito lavoro sperimentale, che dà un ulteriore carattere nomade alla poesia di Fontanella, per quanto riguarda cioè, dal punto di vista formale, la provvisorietà dei risultati, anche linguistici, ai quali volta per volta si perviene. Nomadismo che, come anche Giulio Ferroni ha messo in evidenza a proposito di Azul, riguarda pure la forma dei componimenti spesso molto diversi fra loro. E come testimonia questa antologia americana di cui parliamo (Land of time. Selected poems 1972-2003, edited by Irene Marchegiani, Chelsea Editions, New York 2006).
Nelle poesie antologizzate, tratte dalle prime raccolte quali La verifica incerta (1972) e La vita trasparente (1978), troviamo un andamento sintattico più piano, e vediamo già emergere tematiche e modalità proprie della poesia di Fontanella, destinate a essere magari via via riprese. Così leggiamo de “l’intima vita / che sfugge”: tema della “perdita” che insieme a quella della “ricerca” è strettamente connesso al nomadismo e al viaggio; e ancora il nesso viaggiare-poesia che troviamo in Dopo la festa, con un anelito pure, nella chiusa, a una qualche quiete: “E vieni a letto ch’è tardi”. Nel testo eponimo de La vita trasparente vediamo poi all’azione la forza dello sguardo che trattiene le “impressioni” delle cose, come su una lastra “impressionata”: è quella ricettività-reattività che Fontanella stesso ha segnalato rispetto all’azione su di noi di un oggetto specifico, che scatena il tentativo di coprire con le parole, con la “grammatica del pensiero”, “la distanza tensiva” che ci separa da esso. Troviamo all’opera anche una modalità formale che va oltre la lirica per giungere alla quotidianità attraverso la narratività, una narratività in qualche modo educata forse più da un Gozzano che da un Pavese che pure è riferimento fondamentale per Fontanella.
3. Su questo interviene l’effetto dell’urto con una cultura e una lingua che si impongono con la loro forza minacciando uno straniamento rispetto alla propria formazione e alla propria cultura d’origine. Allora il lavoro sul linguaggio che dicevamo, con un gioco di assonanze o più propriamente di paronomasie con slittamento semantico progressivo, come in Sleeplessness da Simulazione di reato (1979). Contemporaneamente si registra però anche la netta influenza di certa poesia americana, vuoi per l’accentuazione in certi casi della dimensione narrativa, vuoi, sulla scia anche della Beat Generation, per il denso e caotico accumulo di materiali come in Howl di Allen Ginsberg (che Fontanella ha conosciuto e incontrato più volte), in poesie come America America Amen da Stella saturnina (1989), in cui si realizza appunto l’incontro-scontro, e la critica, la denuncia di un certo mondo che pure, ovviamente, ci affascina: altrimenti non saremmo lì. In questo testo si fa anche strada prepotentemente il plurilinguismo con frequente ricorso all’uso dell’inglese.
Questa è dunque l’esperienza dello spaesamento del viaggio che genera una doppia reazione, tematica e formale. Da un lato, allora, il ruolo della memoria, che assume non solo un aspetto puramente nostalgico (il nostos, il ritorno, sull’onda dell’algos, il dolore), ma anche come ricerca di un correttivo, ricorrendo all’Italia rurale che fu, rispetto alla postmodernità americana e rispetto alla paura che tale futuro, un giorno, tocchi anche a noi. Sono quelle che Fontanella in una poesia, scritta davanti a una finestra in America, mentre i ricordi vanno altrove, chiama “le stagioni incrociate”, questa sorta di condensazione psicoanalitica (Fontanella è stato studioso del surrealismo francese e italiano) fra una realtà e l’altra. Come è stato detto (Doplicher), l’America è servita a Fontanella a gigantografare l’Italia, a vedere l’una attraverso l’altra per antivedere come il vecchio continente possa diventare come il nuovo. La memoria assume qui allora anche una valenza etica. Viene fatto di pensare all’angelo della storia di Paul Klee, analizzato da Walter Benjamin, come ha messo in evidenza la Luongo Bartolini: un andare avanti guardando indietro. Quel Benjamin che a Fontanella è caro anche per la dimensione della flânerie baudelairiana, così legata al tema del vagabondaggio e quindi del viaggio.
4. Quello di Fontanella è dunque un tornare all’Italia, dall’America, come il ritorno a Gaminella del protagonista de La luna e i falò di Cesare Pavese. Esemplificativa di questo ritorno in Italia è la poesia Padre-sequenza (che ci può ricordare il Padre-paese del conterraneo Alfonso Gatto al quale pure è dedicata una poesia), che troviamo nella raccolta Ceres (1996) che, come svela il titolo, è particolarmente attraversata dall’esigenza di un radicamento alla terra, nonché ovviamente in Terra del tempo dalla raccolta dello stesso titolo, titolo che coniuga insieme la dimensione spaziale e temporale come a trovare una conciliazione fra il viaggio come spostamento nello spazio e nel tempo, e il luogo al quale tornare, perché in Fontanella il viaggio sembra alludere alla circolarià di un ritorno alle origini. Formalmente, Fontanella torna a una dizione più piana e, in alcuni casi, alla forma della ballata. Della ricerca di radicamento negli affetti rientrano anche le poesie dedicate alla figlia Emma (Parole per Emma, in Ceres).
5. Il rapporto fra passato e presente, la dimensione temporale, e la ricerca di un luogo trova, legandosi al sogno, espressione nella paradigmatica La città celeste, non a caso dedicata a Pascal D’Angelo e agli italiani emigrati in America, compresa in Azul (2001), raccolta che senza dubbio riassume tematiche e forme precedenti, e che continua il tentativo di toccare gli oggetti, le persone, gli eventi, con la poesia, magari anche con una certa levità. Si veda, ancora da Ceres, una testo nel quale, con riferimento alla figlia Emma, Fontanella pratica la poesia anche come gioco – gioco del quale ha proclamato la legittimità accanto alla tensione etica –, e coniuga leggerezza e profondità. Il suo pliriverso aspira qui all’universo.
1. Giuseppe Pontiggia, in una nota in quarta di copertina dell’ultima raccolta “autonoma” di Luigi Fontanella, Azul (Archinto, Milano 2001) parla di “poesia nomade”. Nomade è Fontanella stesso, che dagli anni Settanta vive in America, con impegni prima a Princeton, poi ad Harvard, e ora alla Stony Brook State University di New York. Ma con un radicamento che rimane forte in Italia, dove ritorna spesso, tenendo lezioni in Università italiane, come le prossime su Italo Svevo a Salerno (ricordiamo la sua curatela di I. Svevo, I racconti di Murano, Empiria, Roma 2004), prendendo parte a giurie di premi letterari, presentando man mano i suoi libri, come il recente su Pier Paolo Pasolini (Pasolini rilegge Pasolini, Archinto, Milano 2005). Potremmo allora provare ad applicare a lui le categorie che il Fontanella critico letterario e della cultura tenta di affinare nel suo La parola transfuga (Cadmo, Fiesole 2003), dedicato agli scrittori italiani in America. Dunque, egli sarebbe uno “scrittore emigrante” (già scrittore prima di partire) e non un “emigrante scrittore” (come un Pascal D’Angelo che dall’apprendistato doloroso del lavoro arriva alla scrittura); uno “scrittore italiano espatriato”, che continua a scrivere in italiano (e non potrebbe farlo in inglese, perché quella della poesia, ha avuto modo di dire, è la lingua dell’anima); un “italo-italiano”, uno di quegli italiani espatriati non per le urgenze economico-lavorative di una volta, ma, a partire soprattutto dagli anni Sessanta, per ragioni professionali o per curiosità antropologica, come un Paolo Valesio, ad esempio, quegli scrittori “ubiquitari”, dunque, giunti a un “biculturalismo”, frutto del loro cosmopolitismo letterario.
2. Questo non può non avere ripercussioni sulla scrittura. Da un lato, come può essere più scontato, aprendosi alle influenze provenienti dalla cultura americana, dall’altro invece andando a scavare ancora di più nelle stesse possibilità della lingua italiana, in un accanito lavoro sperimentale, che dà un ulteriore carattere nomade alla poesia di Fontanella, per quanto riguarda cioè, dal punto di vista formale, la provvisorietà dei risultati, anche linguistici, ai quali volta per volta si perviene. Nomadismo che, come anche Giulio Ferroni ha messo in evidenza a proposito di Azul, riguarda pure la forma dei componimenti spesso molto diversi fra loro. E come testimonia questa antologia americana di cui parliamo (Land of time. Selected poems 1972-2003, edited by Irene Marchegiani, Chelsea Editions, New York 2006).
Nelle poesie antologizzate, tratte dalle prime raccolte quali La verifica incerta (1972) e La vita trasparente (1978), troviamo un andamento sintattico più piano, e vediamo già emergere tematiche e modalità proprie della poesia di Fontanella, destinate a essere magari via via riprese. Così leggiamo de “l’intima vita / che sfugge”: tema della “perdita” che insieme a quella della “ricerca” è strettamente connesso al nomadismo e al viaggio; e ancora il nesso viaggiare-poesia che troviamo in Dopo la festa, con un anelito pure, nella chiusa, a una qualche quiete: “E vieni a letto ch’è tardi”. Nel testo eponimo de La vita trasparente vediamo poi all’azione la forza dello sguardo che trattiene le “impressioni” delle cose, come su una lastra “impressionata”: è quella ricettività-reattività che Fontanella stesso ha segnalato rispetto all’azione su di noi di un oggetto specifico, che scatena il tentativo di coprire con le parole, con la “grammatica del pensiero”, “la distanza tensiva” che ci separa da esso. Troviamo all’opera anche una modalità formale che va oltre la lirica per giungere alla quotidianità attraverso la narratività, una narratività in qualche modo educata forse più da un Gozzano che da un Pavese che pure è riferimento fondamentale per Fontanella.
3. Su questo interviene l’effetto dell’urto con una cultura e una lingua che si impongono con la loro forza minacciando uno straniamento rispetto alla propria formazione e alla propria cultura d’origine. Allora il lavoro sul linguaggio che dicevamo, con un gioco di assonanze o più propriamente di paronomasie con slittamento semantico progressivo, come in Sleeplessness da Simulazione di reato (1979). Contemporaneamente si registra però anche la netta influenza di certa poesia americana, vuoi per l’accentuazione in certi casi della dimensione narrativa, vuoi, sulla scia anche della Beat Generation, per il denso e caotico accumulo di materiali come in Howl di Allen Ginsberg (che Fontanella ha conosciuto e incontrato più volte), in poesie come America America Amen da Stella saturnina (1989), in cui si realizza appunto l’incontro-scontro, e la critica, la denuncia di un certo mondo che pure, ovviamente, ci affascina: altrimenti non saremmo lì. In questo testo si fa anche strada prepotentemente il plurilinguismo con frequente ricorso all’uso dell’inglese.
Questa è dunque l’esperienza dello spaesamento del viaggio che genera una doppia reazione, tematica e formale. Da un lato, allora, il ruolo della memoria, che assume non solo un aspetto puramente nostalgico (il nostos, il ritorno, sull’onda dell’algos, il dolore), ma anche come ricerca di un correttivo, ricorrendo all’Italia rurale che fu, rispetto alla postmodernità americana e rispetto alla paura che tale futuro, un giorno, tocchi anche a noi. Sono quelle che Fontanella in una poesia, scritta davanti a una finestra in America, mentre i ricordi vanno altrove, chiama “le stagioni incrociate”, questa sorta di condensazione psicoanalitica (Fontanella è stato studioso del surrealismo francese e italiano) fra una realtà e l’altra. Come è stato detto (Doplicher), l’America è servita a Fontanella a gigantografare l’Italia, a vedere l’una attraverso l’altra per antivedere come il vecchio continente possa diventare come il nuovo. La memoria assume qui allora anche una valenza etica. Viene fatto di pensare all’angelo della storia di Paul Klee, analizzato da Walter Benjamin, come ha messo in evidenza la Luongo Bartolini: un andare avanti guardando indietro. Quel Benjamin che a Fontanella è caro anche per la dimensione della flânerie baudelairiana, così legata al tema del vagabondaggio e quindi del viaggio.
4. Quello di Fontanella è dunque un tornare all’Italia, dall’America, come il ritorno a Gaminella del protagonista de La luna e i falò di Cesare Pavese. Esemplificativa di questo ritorno in Italia è la poesia Padre-sequenza (che ci può ricordare il Padre-paese del conterraneo Alfonso Gatto al quale pure è dedicata una poesia), che troviamo nella raccolta Ceres (1996) che, come svela il titolo, è particolarmente attraversata dall’esigenza di un radicamento alla terra, nonché ovviamente in Terra del tempo dalla raccolta dello stesso titolo, titolo che coniuga insieme la dimensione spaziale e temporale come a trovare una conciliazione fra il viaggio come spostamento nello spazio e nel tempo, e il luogo al quale tornare, perché in Fontanella il viaggio sembra alludere alla circolarià di un ritorno alle origini. Formalmente, Fontanella torna a una dizione più piana e, in alcuni casi, alla forma della ballata. Della ricerca di radicamento negli affetti rientrano anche le poesie dedicate alla figlia Emma (Parole per Emma, in Ceres).
5. Il rapporto fra passato e presente, la dimensione temporale, e la ricerca di un luogo trova, legandosi al sogno, espressione nella paradigmatica La città celeste, non a caso dedicata a Pascal D’Angelo e agli italiani emigrati in America, compresa in Azul (2001), raccolta che senza dubbio riassume tematiche e forme precedenti, e che continua il tentativo di toccare gli oggetti, le persone, gli eventi, con la poesia, magari anche con una certa levità. Si veda, ancora da Ceres, una testo nel quale, con riferimento alla figlia Emma, Fontanella pratica la poesia anche come gioco – gioco del quale ha proclamato la legittimità accanto alla tensione etica –, e coniuga leggerezza e profondità. Il suo pliriverso aspira qui all’universo.
Enzo Rega
*Testo della presentazione del volume di Luigi Fontanella, Land of Time, Chelsea Editions, New York 2006, tenuta presso la Galleria "Metart" di Gaetano Romano a Ottaviano (Napoli) il 20 maggio 2006.
Si veda anche di Enzo Rega la recensione di Luigi Fontanella, L'azzurra memoria, Moretti&Vitali, Bergamo 2007.
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