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giovedì 29 maggio 2008

Domenico Cipriano: 4 poesie inedite

4 POESIE INEDITE

di
DOMENICO CIPRIANO

rassegna
"Con..Versando"
Montemiletto (Avellino)

locanda Borgo dè Paladino
26 marzo 2008


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nella foto, da sinistra: Domenico Cipriano e Enzo Rega


In un “Mc Donald’s”
all’ora di pranzo

In questo simbolo del mercato globale
non vedo differenza inespressiva
col resto della città. Una poetica silenziosa

insinua custodita dal suono dell’aspiratore
sui rumori catalitici delle auto il fragore
rullante dei motorini. Tutto è contenitore!

Anche i mattoni ingialliti artificiali rilassano
sotto l’ombrellone della città - nulla è caotico
nelle ore del pranzo - nello scenario estivo

non mi accorgo di essere nel centro
della metropoli operante. Solitario
al silenzio di questo tavolo in fòrmica

della carta residua dei panini del cetriolo
scartato e del bicchiere marcato Coca Cola
sfoglio una rivista d’Arte.

(Mc Donald’s Napoli, 12 luglio 2001)


*


Abolisci la frattura


Abolisci la frattura tra reale e virtuale
siamo fagocitati dalle immagini
e apparteniamo a quello che guardiamo.

Non credo più nella simbiosi
tra gli oggetti e il tatto (che fa vivo
il corpo) lasceremo che sia la memoria

a portare con sé gli odori delle cose.
Crediamo di essere uniti con il mondo
e conoscere ogni forma di esistenza:

la violenza non fa più orrore
e ricordiamo i corpi osservandoci
le mani, la tenerezza che avevamo.

(Avellino, 20 dicembre 2006)


*



Tasti sfiorati


Reclusi volontari annoiati
nell’involucro di pastafrolla
in pausa dai contatti naturali

senza più cordone ombelicale
per legarci all’aria trasparente
non più fili del telefono

a collegare il sibilo della mente.
Sono onde a surrogare cuori
in tasti sfiorati e polpastrelli

lettere nude simboli di seni
rimpiazzano la voce sussurrata:
nelle parole l’amore sospirato.

(Monteforte I., 29 settembre 1999)


*


Percorre la mente tradizionalmente


Percorre la mente tradizionalmente
il bosco increspato dai gufi
valicando la terapia ottusa

della città metallica, insaponata
di catrame. La stessa prospettiva / esteriore /
che mi ingombra, calcificata

la stagione calda, riscoperta
la vitrea dimensione dei corpi.
Ti penso seminuda con i simboli

in evidenza, esplosi dai vestiti
delle vetrine spigolose, frange
di colori, strisce di una rivoluzione

geometrica: le curve si gonfiano
alla tangenza del mio sguardo
sui seni in simbiotica evidenza.


(Na-Av 26 aprile 2002)

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Postilla critica

In forma classica affrontare i mali della contemporaneità. Se quello dei contenuti nuovi in forme antiche era il segno distintivo della poetica di un Pindemonte nei tempi che furono, è cifra espressiva anche dei giorni nostri. Che non è poi regressione, ma sfida. E nei versi di Domenico la forma diventa contenuto subliminale. Nel senso che… nel senso che lo sbigottimento e l’angoscia che il mondo globalizzato (dal Mcdonald's napoletano e oltre) destano in noi ci porta, non come difesa passiva ma come attivazione in una risposta che diventa attacco, a raccoglierci in quelle che non chiamerei staticamente radici ma dinamicamente origini. Tra le quali anche una tradizione letteraria rivitalizzata. E così, nel non-luogo del fast food all’americana, sfogliare una rivista d’arte. E contro il metallo e il catrame riaprirsi alla passione, all’amore, all’erotismo. Il contrasto si gioca poi in dimensione intracampana, nel contrasto, pavesiano, scotellariano, tra città e campagna. Ma, come sappiamo da altri testi di Domenico, neanche la patria irpina viene assolutizzata e idealizzata, ma piuttosto dialetticamente rivisitata. Origini, dicevamo, non radici.
[E. R.]

(Siracusa, 2 giugno 2008)

mercoledì 28 maggio 2008

Umberto Galimberti: "L'ospite inquietante"

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DAL FILOSOFO GALIMBERTI UNA LEZIONE SUI GIOVANI D’OGGI

Può capitare di chiedersi, di questi tempi, a cosa serva la filosofia. Altre forme di conoscenza sembrerebbero a prima vista più adeguate e necessarie. Ebbene, ascoltando Umberto Galimberti parlare a Ottaviano (Napoli), ospite del Rotary Club, del suo libro L’ospite inquietante. I giovani e il nichilismo (Feltrinelli, 2007) la filosofia ci appare invece strumento indispensabile per pensare i mali del mondo nel quale viviamo, anche se poi trovarne i rimedi è altra cosa. Il filosofo milanese, che insegna all’Università di Venezia, affronta in questo libro il disagio dei giovani determinato dall’irruzione del nichilismo, quello che Nietzsche chiamava per l’appunto l’ospite più inquietante. Ora, Nietzsche parlava di un nichilismo passivo, che corrisponde alla disgregazione dei valori, e di un nichilismo attivo, che è la riproposizione di nuovi valori: nella nostra epoca il secondo passaggio non avviene, e a risentirne sono soprattutto i giovani. Essi elaborano addirittura una personalità psicopatica, dove il termine sta a indicare una “psiche apatica”: i giovani sono privi di sentimenti, oltre che di valori. Ci vorrebbero genitori meno distratti e insegnanti più attenti: perché gli studenti siano motivati nello studio, d’altronde, devono essere interessati, e l’interesse nasce dal fascino che un docente riesce a dare al proprio insegnamento. In fondo, la colpa dell’apatia dei giovani è del mondo preparato loro dagli adulti. In questo mondo dominano la tecnica, che semplicemente “funziona” senza preoccuparsi dei valori, e il mercato, che insegue solo i “valori” economici. Una soluzione, se c’è, ce la dà la civiltà greca, con il motto delfico “conosci te stesso” che andrebbe riproposto ai giovani d’oggi così come Socrate lo proponeva a quelli dell’antica Atene.

Enzo Rega

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Pubblicato sul periodico dell'area vesuviano-nolana "Il Pappagallo"


domenica 25 maggio 2008

Ricordando Sergio Atzeni


SERGIO ATZENI E LA SARDEGNA COME METAFORA

Parlando di Sergio Atzeni (1952-1995) non si può non sottolinearne subito il legame con la Sardegna, un legame però problematico, ambivalente. E ciò ci riconduce, da un punto di vista sociologico, alla condizione di tanti scrittori e intellettuali meridionali, da un lato profondamente legati alla propria terra, dall’altro costretti – una costrizione anche “spontanea”, sorta talvolta di autocostrizione – ad abbandonarla. Ad abbandonarla perché poi sta stretta, perché poi c’è bisogno di superarne i limiti.
Così, possiamo pensare, per stare nel campo della poesia più che in quello proprio di Atzeni della narrativa, ad alcuni autori. Al salernitano Alfonso Gatto che lascia la sua città per Milano, Firenze, girando poi per il resto del nord Italia: e, pur avendo esordito ancora ai tempi napoletani con una piccola sigla editoriale partenopea e per interessamento del corregionale Carlo Muscetta, parlerà del capoluogo lombardo come della città della sua poesia. E però scriverà: “Salerno rima d’eterno”. Il lucano Leonardo Sinisgalli, ingegnere elettrotecnico, emigrerà verso Milano e altri luoghi del Nord per lavorare per importanti gruppi aziendali, dirigendo una rivista finanziata dall’industria, “Civiltà delle macchine” (quando certi industriali erano ancora “umanisti”): ma lasciando costantemente nella sua poesia, nonché in prosa, immagini della terra d’origine. O ancora l’altro lucano Rocco Scotellaro che bruciò la breve vita fra la nativa Tricarico e città come Napoli e Bari: in lui il dissidio sarà, pavesianamente, più fra campagna e città che fra Nord e Sud. Eppure il suo paese, del quale sarà giovane sindaco, gli stava stretto (ciò non parlando poi di Quasimodo, e di tant'altri)
Anche in Atzeni ritroviamo dunque questo contrasto insolubile: da un lato il profondo legame con la sua isola, dall’altro il bisogno di superarne i limiti: e quindi la proiezione verso Torino, soprattutto, e Milano e l’Emilia. Condividendo quindi con Gatto e con Sinisgalli il trasferimento al Nord, con Scotellaro l’impegno politico nonché la breve vita. Il libro di Atzeni centrale in questo senso – quello che ce ne dà un’immagine, per così dire, a gambe divaricate, con un piede in terra sarda e l’altro in continente, è il suo terzo romanzo, l’ultimo pubblicato in vita: Il quinto passo è l’addio (Mondadori, Milano 1995; Edizioni Il Maestrale, Nuoro 1999; Ilisso, Nuoro 2001). Il libro si apre proprio con la partenza del protagonista, alter ego dello scrittore, da Cagliari per andare a fare un concorso come giornalista Rai a Roma, concorso poi non vinto. Ma il libro si muove tutto nella durata del viaggio, con analessi e prolessi, per dirla con tecnico lessico narratologico, o con flashback e flashforward, per dirla con più comprensibile linguaggio cinematografico. Da un lato, dunque, ritorno della memoria a Cagliari con spaccati di vita cittadina fra amori, delusioni, droga, musica e impegno politico; dall’altro, anticipazioni di momenti successivi al viaggio, con riferimenti all’esito negativo del concorso stesso che assume un aspetto di scacco esistenziale oltre che offrire il destro per la denuncia della corruzione. Emblematica è la scelta di incentrare la narrazione – pur appunto nelle sue proiezioni nel passato e nel futuro in uno sfalsamento continuo di piani temporali – nella extraterritorialità del viaggio, nel non-luogo dello spostamento e nella sua sospensione temporale: non si è più nel luogo di partenza – la Sardegna – e non si è ancora in quello d’approdo: il continente: ma contemporaneamente si è sia qui che lì, in questa corda tesa rappresentata dal viaggio stesso. Che è poi la condizione propria di Atzeni, che non riesce a stare più nella sua terra ma, fuori da essa, non potrà scrivere di altro se non di essa. Bellissima è la pagina iniziale che potrebbe essere inserita in una galleria ideale di ritratti dei luoghi abbandonati che cominci con l’Addio ai monti manzoniano. Così scrive dunque Atzeni aprendo il romanzo: “Bocca aperta alle mosche, Ruggero Gunale guarda con occhi umidi e impietriti la città che si allontana: la croce d’oro sulla cupola della cattedrale e attorno a corona digradando i palazzi color catarro dei nobili ispanici decaduti, circondati da bastioni pietrosi invalicabili a piede d’uomo, dove pendono chiome di capperi al vento, di un verde che ride. Guarda i quartieri moderni fuori le mura scendere dai colli al mare oleoso e verde cupo, i bei palazzi e portici dei tempi di Baccaredda (scrittore e sindaco, amato e carogna) e il lascito architettonico di quest’epoca ai futuri: il cubo luttuoso e vitreo che nasconde i vicoli del porto e offende il municipio bianco e danzante cui si è affiancato con protervia da funzionario viceregio d’altri tempi (non è escluso che i futuri decidano di amarlo e cantarlo… o lo smonteranno vetrata per vetrata e lo sposteranno in campagna oltre Paulli e invece delle nere geometrie che spengono la luce e l’allegria vedranno panchine, fontane, palmeti e jaracandas?). Ruggero Gunale guarda la città che si allontana. Saluta torri pisane e campanili. Sillaba a se stesso: ‘La mitezza non incute rispetto né suscita vero compatimento. Anzi: godono a schiacciarti’. Con gli occhi della memoria vola per i vicoli del paese dove ha vissuto gli ultimi tre anni, gli pare di udire il ronzio di un calabrone in un pomeriggio silenzioso e di vedere i muri bianchi di calce ogni tanto incavati in portali neri o marroni, muri senza finestre, per proteggere gli abitanti dall’occhio sbavante dell’individuo e da quello maligno della strega che passano per strada” (Il quinto passo è l’addio, Ilisso, pp. 29-30; non abbiamo qui rispettato gli a-capo e la scansione in paragrafetti tipica della scrittura di Atzeni).
L’aspetto paesaggistico si mescola con quello storico-artistico-antropologico e con la denuncia del presente. Non solo la lingua di Atzeni è mescidata nell’impasto di italiano e sardo, ma anche la sua narrazione è giocata in uno scambio di passato e presente, di modernità e antichità. Se in Il figlio di Bakunìn (Sellerio, Palermo 1991) viene recuperato un passato relativamente recente con la ricostruzione, fatta da quanti lo conobbero, della vita dell’anarchico Tullio Saba, minatore a cavallo della seconda guerra mondiale (e a tentare tale ricostruzione è un giovane capellone con tanto d’orecchino figlio dei tempi stessi dell’autore); nell’Apologo del giudice bandito (Sellerio, Palermo 1986) la storia è ambientata nel 1492, anno simbolo dell’inizio della modernità, in quel secolo XV nel quale si fermava proprio quella lunga corsa attraverso i tempi che è l’ultimo romanzo di Atzeni, pubblicato postumo, Passavamo sulla terra leggeri (Mondadori, Milano 1996; Edizioni Il Maestrale, Nuoro 1999; Ilisso, Nuoro 2000): corsa che inizia in età preistorica dall’arrivo del popolo orientale dei S’ard nell’isola, passa attraverso l’età fenicia, greca, romana, delle invasioni barbariche, medioevale, per fermarsi nel Quattrocento alla dominazione spagnola che per prima si estende davvero su tutta la Sardegna spazzando via l’autorità dei “giudici” che si arroccava ancora nelle zone più interne: e qui si ferma, appunto, alla fine dell’indipendenza dell’originario nucleo sardo, se non per confutare le malevoli e interessate ricostruzioni dell’età “savoiarda” che vorrebbero negare l’identità sarda stessa.
Il primo motore non immobile della narrativa di Atzeni – appunto il riferimento alla Sardegna, alla sua storia e alle sue storie – si ritrova poi in altri lavori, come nelle Fiabe sarde, narrate da Atzeni con Rossana Copez (Zonza Editore, Cagliari 1978; Condaghes, Sassari 1996), e in quel particolare libro che è Raccontar fole (a cura di Paola Mazzarelli, Sellerio, Palermo 1999), nel quale si smontano le immagini della Sardegna, spesso false, costruite da viaggiatori stranieri, o da italiani del continente, fra Sette e Ottocento. Ma non c’è, in Atzeni, alcun pericolo di letteratura regionalistica. Non siamo di fronte a un Renato Fucini redivivo, lo scrittore toscano, vissuto tra Otto e Novecento, accusato di bozzettismo e macchiettismo, accuse riprese da Carlo Cassola (cfr. la sua Introduzione a Renato Fucini, Le veglie di Neri, Bur Rizzoli, Milano 1995). Abbiamo cercato di dire come lo sguardo di Atzeni abbia bisogno di spaziare e certo non condivide di Fucini l’ottica paternalistica del signore nei confronti del popolo. Atzeni è animato da una forte passione politica che lo porta a volere anche una trasformazione della sua terra: una dimensione politica che non lo porta mai a soffocare l’esigenza letteraria. Nella sua opera si trovano la politica, e il politico, ma la sua non si può considerare una letteratura “impegnata”: è semplicemente letteratura. Quindi non letteratura impegnata, non letteratura regionalistica. Semplicemente, ripetiamolo, letteratura nella quale politica e politico hanno grande peso e riferimento territoriale importanza fondamentale.
Che lo specifico letterario sia determinante per comprendere il senso dell’opera di Atzeni d’altra parte ci è testimoniato anche dalla grana “sperimentale” della sua voce. Al di là di possibili riferimenti intenzionali, al lettore è data la possibilità di individuare se non parentele almeno affinità con alcune delle pratiche letterarie più avvedute della seconda metà del secolo scorso. Il quinto passo, con la ricostruzione della propria gioventù e anche dell’impegno politico, fa venire in mente l’analoga ricostruzione che della propria esperienza universitaria e politica nelsecondo dopoguerra a Bologna fa, con scrittura sperimentale, Francesco Leonetti, poeta vicino a Pasolini nell’esperienza di “Officina”, nel romanzo, ora più introvabile di quelli di Atzeni, Conoscenza per errore (Einaudi, Torino 1978), ricco di invenzioni linguistiche fra Gadda e Vittorini (libro questo senz'altro più immediatamente "politico" rispetto alle opere narrative di Atzeni). La ricostruzione poi della vita di Tullio Saba attraverso le persone che lo conobbero non può non farci pensare a Foto di gruppo con signora del 1971 di Heinrich Böll. Per la letteratura a più forte caratura “antropologica” di Atzeni vengono poi fatti i nomi di Amado, Borges, Gárcia Márquez. Senza togliere nulla a tali riferimenti, ci sembra qui di poter aggiungere almeno un nome, seppure meno conosciuto: quello del messicano Juan Rulfo e del suo Pedro Páramo del 1955 (edito in Italia da Einaudi nel 1977), romanzo che sconvolse lo stesso Márquez. Qui Rulfo rende in modo magistrale la compresenza di passato e presente in una dimensione temporale circolare nella quale vita e morte si intrecciano continuamente, in una scrittura e con una struttura che fanno dire a Ernesto Franco, nella sua nota in quarta di copertina: “Pedro Páramo è un’opera al meno. È il lavoro della sottrazione continua. Una narrazione senza le astuzie del romanzo. Un brano di Storia senza date e senza eroi. Un tempo immobile. Una metafisica senza mondo”. Per alcuni aspetti, sembra di sentir parlare di Atzeni. Un certo senso di rarefazione, pur nella densità di ciò che viene narrato, sembra di avvertire anche nella scrittura del narratore sardo.
Quindi, viste le coordinate letterarie che è possibile individuare, sempre meno possiamo parlare di regionalismo. Eppure la Sardegna rimane comunque centrale. Ebbene, se per Leonardo Sciascia si parla di “Sicilia come metafora” – la Sicilia è quella, nella sua concretezza, ma è, insieme, anche altro – possiamo parlare allora, per Atzeni, di “Sardegna come metafora”. La solitudine di Atzeni (il lonely man ricordato da Giuseppe Marci anche nel titolo del suo libro a lui dedicato [G.M., Sergio Atzeni. A lonely man, Cuec, Cagliari 1999]) è anche la nostra solitudine.

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Enzo Rega*




Per Sergio Atzeni

































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Momenti della presentazione del libro di
Salvatore Iervolino, Un rapsodo sardo: Sergio Atzeni, Editrice Ferraro, Napoli 2008
Teatro Comunale - Palma Campania (Napoli) - 21 maggio 2008 -
*Il testo qui presentato è la trascrizione della relazione tenuta in tale occasione

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Nelle foto: Pasquale Gerardo Santella, Enzo Rega, preside Salvatore Santaniello, Maria Cutolo, Salvatore Iervolino, studentesse del liceo "Rosmini" di Palma Campania
nella foto in alto, copertina del volume di Sergio Atzeni, Scritti giornalistici, 2 voll., Edizioni Il Maestrale, Nuoro: nel catalogo delle Edizioni Il Maestrale sono presenti molti titoli di Atzeni; sue opere sono poi disponibili presso Sellerio di Palermo, Ilisso di Nuoro, Condaghes di Cagliari.
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martedì 20 maggio 2008

Luigi Fontanella a Palma Campania: "Oblivion"

*
Il poeta LUIGI FONTANELLA
a Palma Campania (Napoli)
per la presentazione di
Oblivion. Poesie 2000-2006
Archinto-RCS, 2008
organizzata dal Liceo Classico “A.Rosmini”
al Caffè “Mojitos” – Palma Campania 19 maggio 2008
con l’autore sono intervenuti Carlangelo Mauro,
Enzo Rega, Pasquale Gerardo Santella


Letture di: Gabriella Maiello, Ilia Buonagura, Speranza Sepe; Suoni di: Luigi Ferrara (piano), GianMattia Nunziata (sax)

Nella foto grande: Luigi Fontanella a casa di Enzo Rega - Palma Campania 18 maggio 2008
Nelle altre foto, con Luigi Fontanella: Pasquale Gerardo Santella, Enzo Rega, Carlangelo Mauro, Raffele Urraro, docenti e studenti del Liceo "Rosmini"

(foto scattate da Enzo Rega e Giuseppe Vetromile)


DUE POESIE DA OBLIVION


Il disperdimento


Nell’aria grigioazzurra
tardo pomeriggio di dicembre, mentre
da qualche parte insiste una nota musicale
tra fievoli suoni sibili
frusciare di fronde…
..............alberi, sì, appena smossi
nel giardino… di fronte al morto
che registra il disperdimento
l’immobilità catafratta
l’impotenza del gesto.

È già cambiata la luce
ovulo del tempo che tramuta
grigioazzurro ora incupito… si fa sera, lo stesso
vento stretto alberi appena smossi
nel giardino… fermo il giardino
tace il morto. Aspetto l’assassino
fermo io e tutto il resto
ancora guardo non guardo
......................
… ancora

ancora un poco è trascorso, ora
lo spazio è quasi buio
.............lo spazio è pronto:
tutto può accadere adesso. Il vento
stretto nel giardino… Sono
un bambino alla finestra
e spasimo e mi danno
una sera d’inverno come questa
questo tempo e questo lieve abituro
tutto scompare o è solo inganno?

Ancora un altro poco è trascorso
.........................ancora e ancora un poco
ed ora è buio pesto. Sento
il vento nel giardino
scomparso ogni albero
svanito ogni armamento
tutto è cieco tutto è nero adesso
fuori e dentro…
.........................morto vivo
più nulla tranne il vento
e questo cupo
buio
disperdimento.


Gli scialli di Ypnos

Gli occhi rotolarono al di là del recinto
............................sugli spalti
gente muta si accalca per la parata…
così i miei libri, prima di cadere
presero a rotearmi davanti
sgusciavano dai ripiani più alti
per poi precipitare nel sabba della sera.
Sgomento
io li guardavo cadere insieme a tutti
gli altri oggetti, le sedie scombinate
tende fogli farfalle ninnoli statuette
orpelli gratuiti e spudorati.

Che altro ora se non rileggersi
dopo aver soddisfatto le scommesse?
Lontano e lontanato,
di fronte a quest’autunno di foglie e maschere.

Luigi Fontanella


lunedì 12 maggio 2008

La donna nella pittura




MOSTRA COLLETTIVA DI PITTURA
Palma Campania (Napoli)
10 maggio 2008







" D O N N E D E N T R O E F U O R I "






Ernesto De Stefano


... Con lo stesso tocco preciso e netto, ritrae in primo piano una donna anziana di qualche paese del terzo o quarto mondo, con in testa un variopinto copricapo e lo sguardo intenso: la corporeità veicola verso un mondo interiore...








Mario Errico


...Qui l’effetto non è realistico e le figure compaiono su uno sfondo decorato che può ricordare Klimt. In più, la madre è a seno scoperto, segno dell’offerta materna del cibo, ma anche indiscutibile cifra d’una sensualità ancora più manifesta in altre tele di Errico, pur se, in una di esse, il volto che campeggia, trasfigurato, alle spalle del soggetto femminile introduce a un’introspezione nel conscio e nell’inconscio...







Fausta Sangiovanni



...l’aria, rappresentata dal cielo che sovrasta mare e terra ricompare nello sfondo dell'opera della Sangiovanni, intitolata “Sensibilità Femminile”: un corpo coricato, con le spalle nude, raffigurato con uno stile che ricorda certa pittura italiana di inizio Novecento.







Prisco De Vivo


...È vero che in queste tele esposte De Vivo, che proviene da un’esperienza dell’orrorifico modellato su suggestioni da Bosch, Goya, Munch, Bacon ecc., si avvicina qui al tema della bellezza, anche se corteggiata con gli strumenti e le modalità precedentemente forgiati, con risultati di forte impatto: le modelle raffigurate in due quadri, ripresa una per intero con un attillato vestito rosso su sfondo blu elettrico, e un’altra di profilo a mezzo busto in medesimo abbigliamento e sfondo, presentano tratti androgini e inquietanti e un’immagine “aggressiva”.






Grallo
(Silvio Gragnaniello)

...Deformazione surrealistica nelle opere di Grallo, al secolo Silvio Gragnaniello, che, insieme a un quadro, presenta sculture per le quali si serve di materiali poveri, come radiche di canna o legno, che lo riconducono alle proprie origini. Si veda in particolare, qui, una contadina, come sbalzata nella scorza d’un albero, ruvida e rugosa, e insieme vera, come quel mondo rurale dal quale proviene, colta mentre porta qualcosa sul capo.


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Testi* e foto di Enzo Rega

*i testi sono un estratto da una mia recensione della Mostra pubblicata in"il Meridiano. Periodico dell'Area Nolana e della Bassa Irpinia", Anno XV, n. 5, 31 maggio 2008, p. 21

domenica 11 maggio 2008

"Festa delle Rose" 2008



FESTA DELLE ROSE


10 maggio 2008


Domicella -Avellino


E così si è tenuta la decima edizione della Festa delle Rose creata dai fratelli Palmese nel vivaio "Abitare la Natura" di Domicella. Un modo per tenere insieme i sensi (vista, olfatto, tatto e gusto - questo con petali di rose caramellati e altri dolci e degustazioni di rosolio -, l'udito - questo con canti popolari accompagnati da danze) e la mente. Infatti, lungo il percorso troviamo una scelta di poesie dalla antichità ai nostri giorni dedicati alle rose come fiori in quanto tali o nel loro simboleggiare l'amore. Qualche esempio. Dionisio Sofista: "Tu, delle rose! Rosata la grazia che hai. Ma che vendi? / Te, le tue rose, o insieme loro e te?"; Pierre de Ronsard: "Accetta questa rosa amabile come te / che sei rosa tra le rose più belle, / che sei fiore tra i fiori più rari, / che sei Musa alle Muse ed a me"; Juan Ramòm Iménez: "Rosa, la rosa… (Ma quella rosa…) / La primavera torna / con la rosa / scarlatta, rosea, gialla, candida, scarlatta; / e tutti si inebrian della rosa,..."; passando per Totò: "’A passiona mia erano ’e rose, / sultanto ’e rose rosse" e da esempi "canori": Era de maggio di Salvatore Di Giacomo e l'Unica Rosa di Ivano Fossati ("Rosa / Rosa di una rosa / Rosa torturata / Rosa amata / Rosa, / Rosa ballerina / Rosa bambina"). Nella tensione dunque tra "il giardino perduto" e "i giardini da ritrovare".

foto Enzo Rega

venerdì 9 maggio 2008

Sergio Atzeni: i sentimenti

frasi d'autore

"I sentimenti sono cose strane, l'odio è forte, meglio odiato che ignorato".
"E' un pensiero di tua nonna?".
"E' un pensiero di Pippo Ibba".



Sergio Atzeni, Il quinto passo è l'addio, Ilisso, Nuoro 2001 (I ed. Mondadori, Milano 1995)

giovedì 8 maggio 2008

Libri: da Napoli a Torino

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In occasione dell'apertura della Fiera del Libro di Torino ripubblichiamo questo breve articolo sull'analoga manifestazione napoletana pubblicato a suo tempo sul periodico dell'area vesuviano-nolana "Il Pappagallo":
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Galassia Gutenberg 2008, un “filo di cultura” dal quale ricominciare a ragionare
Si è chiusa a Napoli la XIXª edizione della Mostra campana del libro


di ENZO REGA

Dà un senso di conforto, nello sconforto generale, aggirarsi, per chi li ama, fra stand di libri e ancora libri. La collocazione nella Stazione Marittima del Molo Angioino a Napoli si rivela funzionale: collocazione meno dispersiva rispetto a quella nel pur più suggestivo Castel dell’Ovo di un tre anni fa (lì, girando fra sale e salette bisognava andare a caccia dei libri) e meno fastosa di quella dei tempi d’oro di Galassia nei padiglioni della Mostra d’Oltremare a Fuorigrotta. Non fa nulla se Galassia Gutenberg, arrivata alla diciannovesima edizione (si è tenuta dal 28 al 31 marzo 2008), tra la Mostra del libro di Torino, la più prestigiosa in Italia, e quella di Belgioioso a Pavia, dedicata alla piccola editoria, assomigli sempre più a quest’ultima: dei grandi editori troviamo quest’anno a Napoli solo Einaudi, Garzanti, Giunti, Longanesi, Treccani, Tea e poi, per quanto riguarda gruppi comunque di rilevanza nazionale, Guanda, Marcos y Marcos e il Corbaccio. Ci sono invece piccoli e medi editori di tutto rispetto, come Iperborea (dedicata alle letterature nordiche), Meridiano zero (specializzato nel giallo e nel noir), Mesogea di Messina (rivolta al Mediterraneo europeo e arabo), Stampa Alternativa (diventata famosa con i Millelire). Poi c’è la pattuglia degli editori napoletani e campani (di alcuni dei quali su queste pagine abbiamo recensito i libri): Bibliopolis, Pironti, Città del sole, Colonnese, Dante & Descartes, Melagrana, Filema, Guida, Immaginapoli, Kairòs, Liguori, Marcus, Mephite e Laceno, Scuderi (e ci scusiamo se abbiamo saltato qualcuno). Piccoli editori soprattutto: ma ci sta bene così. Nelle librerie, per chi le frequenta, è proprio difficile trovare i libri di questa editoria minore che spesso offre prodotti meno conformisti e meno legati alla cultura-spettacolo. Come poco disponibile nei confronti della spettacolarizzazione è stata questa edizione di Galassia. Lo nota positivamente, sulle pagine del "Mattino" del 31 marzo, Goffredo Fofi, intellettuale attento alle cose napoletane e meridionali benché proveniente da altri lidi. Se Galassia mostra ormai delle rughe, e qualcosa andrebbe rivista (puntando più su lezioni che veloci presentazioni, più su conferenze che su conferenze-stampa, invitando pochi personaggi autorevoli magari più stranieri che italiani perché gli italiani sono inflazionati), continua Fofi, è già un miracolo essere arrivati, a Napoli, città dell’effimero, alla diciannovesima edizione con una manifestazione nella quale è possibile rintracciare un prezioso filo di cultura. E il tema è stato proprio il rapporto fra Cultura e Natura, passando per il problema rifiuti, con sezioni così intitolate: Mediterranea, Storie dell’Italia di ieri e di oggi, Un’altra bellezza. Conversazioni su Napoli, Galassia per il sociale, Civiltà delle donne, In viaggio col taccuino. Sarà in tono minore, Galassia, sarà snobbata dai grandi editori. Comunque, teniamocela. E da qui, ci sollecita Fofi, ricominciare a ragionare.

A Torino "Fiera del Libro" 2008

Si apre oggi l'edizione 2008 della Fiera del Libro di Torino. Fra le polemiche che sappiamo. Per quanto ci riguarda non abbiamo nulla da eccepire all'invito rivolto agli autori israeliani, tra i maggiori del nostro tempo, per altro critici nei confronti del governo del loro stato. Israele è dunque il Paese ospite in occasione dell'anniversario della fondazione dello Stato che ha accolto i superstiti della Shoah e quanti, di origine ebraica, hanno ritenuto di tornare nella Terra promessa. Riconoscendo giustamente - tra l'altro a cose fatte ormai da tempo - l'esistenza dello stato israeliano, rimane aperto un problema di non poco conto: e cioè che esiste anche uno stato palestinese. Uno stato fatto da quegli arabi che erano lì, in quelle terre, da millenni, allorché, per rimediare agli orrori della Storia, si è data una Patria agli ebrei. Non si poteva mettere al centro della manifestazione torinese - allora - un invito congiunto ai due stati - israeliano e palestinese - perché i loro scrittori si confrontassero sulle questioni così tragicamente aperte in quell'angolo di terra? E sappiamo come gli scrittori delle due parti siano normalmente disponibili al dialogo perchè questo è il compito della cultura, della letteratura, dell'arte, dell'educazione.

lunedì 5 maggio 2008

Luigi Fontanella fra USA e Italia

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UN VIAGGIO NEL VIAGGIO POETICO
DI LUIGI FONTANELLA*

1. Giuseppe Pontiggia, in una nota in quarta di copertina dell’ultima raccolta “autonoma” di Luigi Fontanella, Azul (Archinto, Milano 2001) parla di “poesia nomade”. Nomade è Fontanella stesso, che dagli anni Settanta vive in America, con impegni prima a Princeton, poi ad Harvard, e ora alla Stony Brook State University di New York. Ma con un radicamento che rimane forte in Italia, dove ritorna spesso, tenendo lezioni in Università italiane, come le prossime su Italo Svevo a Salerno (ricordiamo la sua curatela di I. Svevo, I racconti di Murano, Empiria, Roma 2004), prendendo parte a giurie di premi letterari, presentando man mano i suoi libri, come il recente su Pier Paolo Pasolini (Pasolini rilegge Pasolini, Archinto, Milano 2005). Potremmo allora provare ad applicare a lui le categorie che il Fontanella critico letterario e della cultura tenta di affinare nel suo La parola transfuga (Cadmo, Fiesole 2003), dedicato agli scrittori italiani in America. Dunque, egli sarebbe uno “scrittore emigrante” (già scrittore prima di partire) e non un “emigrante scrittore” (come un Pascal D’Angelo che dall’apprendistato doloroso del lavoro arriva alla scrittura); uno “scrittore italiano espatriato”, che continua a scrivere in italiano (e non potrebbe farlo in inglese, perché quella della poesia, ha avuto modo di dire, è la lingua dell’anima); un “italo-italiano”, uno di quegli italiani espatriati non per le urgenze economico-lavorative di una volta, ma, a partire soprattutto dagli anni Sessanta, per ragioni professionali o per curiosità antropologica, come un Paolo Valesio, ad esempio, quegli scrittori “ubiquitari”, dunque, giunti a un “biculturalismo”, frutto del loro cosmopolitismo letterario.

2. Questo non può non avere ripercussioni sulla scrittura. Da un lato, come può essere più scontato, aprendosi alle influenze provenienti dalla cultura americana, dall’altro invece andando a scavare ancora di più nelle stesse possibilità della lingua italiana, in un accanito lavoro sperimentale, che dà un ulteriore carattere nomade alla poesia di Fontanella, per quanto riguarda cioè, dal punto di vista formale, la provvisorietà dei risultati, anche linguistici, ai quali volta per volta si perviene. Nomadismo che, come anche Giulio Ferroni ha messo in evidenza a proposito di Azul, riguarda pure la forma dei componimenti spesso molto diversi fra loro. E come testimonia questa antologia americana di cui parliamo (Land of time. Selected poems 1972-2003, edited by Irene Marchegiani, Chelsea Editions, New York 2006).
Nelle poesie antologizzate, tratte dalle prime raccolte quali La verifica incerta (1972) e La vita trasparente (1978), troviamo un andamento sintattico più piano, e vediamo già emergere tematiche e modalità proprie della poesia di Fontanella, destinate a essere magari via via riprese. Così leggiamo de “l’intima vita / che sfugge”: tema della “perdita” che insieme a quella della “ricerca” è strettamente connesso al nomadismo e al viaggio; e ancora il nesso viaggiare-poesia che troviamo in Dopo la festa, con un anelito pure, nella chiusa, a una qualche quiete: “E vieni a letto ch’è tardi”. Nel testo eponimo de La vita trasparente vediamo poi all’azione la forza dello sguardo che trattiene le “impressioni” delle cose, come su una lastra “impressionata”: è quella ricettività-reattività che Fontanella stesso ha segnalato rispetto all’azione su di noi di un oggetto specifico, che scatena il tentativo di coprire con le parole, con la “grammatica del pensiero”, “la distanza tensiva” che ci separa da esso. Troviamo all’opera anche una modalità formale che va oltre la lirica per giungere alla quotidianità attraverso la narratività, una narratività in qualche modo educata forse più da un Gozzano che da un Pavese che pure è riferimento fondamentale per Fontanella.

3. Su questo interviene l’effetto dell’urto con una cultura e una lingua che si impongono con la loro forza minacciando uno straniamento rispetto alla propria formazione e alla propria cultura d’origine. Allora il lavoro sul linguaggio che dicevamo, con un gioco di assonanze o più propriamente di paronomasie con slittamento semantico progressivo, come in Sleeplessness da Simulazione di reato (1979). Contemporaneamente si registra però anche la netta influenza di certa poesia americana, vuoi per l’accentuazione in certi casi della dimensione narrativa, vuoi, sulla scia anche della Beat Generation, per il denso e caotico accumulo di materiali come in Howl di Allen Ginsberg (che Fontanella ha conosciuto e incontrato più volte), in poesie come America America Amen da Stella saturnina (1989), in cui si realizza appunto l’incontro-scontro, e la critica, la denuncia di un certo mondo che pure, ovviamente, ci affascina: altrimenti non saremmo lì. In questo testo si fa anche strada prepotentemente il plurilinguismo con frequente ricorso all’uso dell’inglese.
Questa è dunque l’esperienza dello spaesamento del viaggio che genera una doppia reazione, tematica e formale. Da un lato, allora, il ruolo della memoria, che assume non solo un aspetto puramente nostalgico (il nostos, il ritorno, sull’onda dell’algos, il dolore), ma anche come ricerca di un correttivo, ricorrendo all’Italia rurale che fu, rispetto alla postmodernità americana e rispetto alla paura che tale futuro, un giorno, tocchi anche a noi. Sono quelle che Fontanella in una poesia, scritta davanti a una finestra in America, mentre i ricordi vanno altrove, chiama “le stagioni incrociate”, questa sorta di condensazione psicoanalitica (Fontanella è stato studioso del surrealismo francese e italiano) fra una realtà e l’altra. Come è stato detto (Doplicher), l’America è servita a Fontanella a gigantografare l’Italia, a vedere l’una attraverso l’altra per antivedere come il vecchio continente possa diventare come il nuovo. La memoria assume qui allora anche una valenza etica. Viene fatto di pensare all’angelo della storia di Paul Klee, analizzato da Walter Benjamin, come ha messo in evidenza la Luongo Bartolini: un andare avanti guardando indietro. Quel Benjamin che a Fontanella è caro anche per la dimensione della flânerie baudelairiana, così legata al tema del vagabondaggio e quindi del viaggio.

4. Quello di Fontanella è dunque un tornare all’Italia, dall’America, come il ritorno a Gaminella del protagonista de La luna e i falò di Cesare Pavese. Esemplificativa di questo ritorno in Italia è la poesia Padre-sequenza (che ci può ricordare il Padre-paese del conterraneo Alfonso Gatto al quale pure è dedicata una poesia), che troviamo nella raccolta Ceres (1996) che, come svela il titolo, è particolarmente attraversata dall’esigenza di un radicamento alla terra, nonché ovviamente in Terra del tempo dalla raccolta dello stesso titolo, titolo che coniuga insieme la dimensione spaziale e temporale come a trovare una conciliazione fra il viaggio come spostamento nello spazio e nel tempo, e il luogo al quale tornare, perché in Fontanella il viaggio sembra alludere alla circolarià di un ritorno alle origini. Formalmente, Fontanella torna a una dizione più piana e, in alcuni casi, alla forma della ballata. Della ricerca di radicamento negli affetti rientrano anche le poesie dedicate alla figlia Emma (Parole per Emma, in Ceres).

5. Il rapporto fra passato e presente, la dimensione temporale, e la ricerca di un luogo trova, legandosi al sogno, espressione nella paradigmatica La città celeste, non a caso dedicata a Pascal D’Angelo e agli italiani emigrati in America, compresa in Azul (2001), raccolta che senza dubbio riassume tematiche e forme precedenti, e che continua il tentativo di toccare gli oggetti, le persone, gli eventi, con la poesia, magari anche con una certa levità. Si veda, ancora da Ceres, una testo nel quale, con riferimento alla figlia Emma, Fontanella pratica la poesia anche come gioco – gioco del quale ha proclamato la legittimità accanto alla tensione etica –, e coniuga leggerezza e profondità. Il suo pliriverso aspira qui all’universo.
Enzo Rega
*Testo della presentazione del volume di Luigi Fontanella, Land of Time, Chelsea Editions, New York 2006, tenuta presso la Galleria "Metart" di Gaetano Romano a Ottaviano (Napoli) il 20 maggio 2006.
Si veda anche di Enzo Rega la recensione di Luigi Fontanella, L'azzurra memoria, Moretti&Vitali, Bergamo 2007.