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lunedì 21 novembre 2011

Leonardo Sciascia: ricordi di un lettore

  Il 20 novembre 1989 scompariva Leonardo Sciascia

Nel 2011 sono ricorsi i novant'anni dalla nascita di Leonardo Sciascia. E ieri, 20 novembre, era l'anniversario della morte avvenuta nel 1989: quindi dodici anni fa. Come Hemigway, Sciascia fa parte delle mie prime letture da adulto, risalenti agli anni del ginnasio, nei lontani anni Settanta. Anzi, un suo libro, Il giorno della civetta, uscito nel 1961, è stato uno dei primi acquistati in assoluto. Un giorno, passeggiando per il corso di Avellino, dove eravamo andati con la famiglia non ricordo perché (forse un ricovero in ospedale di mio nonno), sono entrato in una libreria (Petretta, forse?), dove, assecondato da mio padre che doveva sborsare, ho comprato il libro di Sciascia e Lavorare stanca di Pavese. Tutt'e due i volumi nella collana dei "Nuovi coralli" di Einaudi. Le poesie di Pavese non le ho più in quell'edizione acquistata allora, perché regalai il libro a una (vecchia) fiamma di diversi anni anni dopo. Il volume di Sciascia, quel volume, è ancora nella mia libreria, con una piccola bozza in alto nel dorsetto, non so come fattasi. Poco dopo, a Catanzaro, dove ero in visita da mia zia, la sorella di mio padre, comprai i racconti di Il mare colore del vino, un libro del 1973, nella collana invece dei "Coralli", di taglio più piccolo, ma cartonata e con sovraccoperta. Quella preciso volume non l'ho più perché, guarda un po', una mia cugina di Catanzaro, in visita a Palma Campania (dove abitavo e abito dopo varie peripezie), la prestò ad amici che poi non restituirono. Il volume, quell'edizione, lo ritrovai poi su una bancarella e adesso è nella mia libreria, valido sostituto della copia smarrita.
   Le due letture sciasciane furono fondamentali per me. Per molto tempo non lessi altro di Sciascia, se non ritornare continuamente a quei volumi (da ragazzi non era consueto rileggere, per penuria di materia prima, sempre gli stessi libri? ma c'era, al di là della necessità - in mancanza d'altro - un fascino nel ritornare sulle stesse pagine e scoprire diversi incantamenti nelle nuove ri-letture). Quante volte, con mia sorella, rievocammo quell'attacco della Civetta, l'omicidio al quale assiste a un passo un panellaro, mentre la vittima, come presa per i capelli, si stacca dal predellino della corriera sulla quale stava salendo, e s'accascia al suolo: il panellaro che, interrogato, non  sa far altro che chiedere a sua volta: "perché, hanno sparato?". Il panellaro: al tempo pensavo fosse semplicemente un venditore di pane. Soltanto molti anni anni dopo, un trentennio dopo, più o meno, dovevo scoprire, da moglie siciliana, che il panellaro è una tipica figura palermitana, e che non fa semplicemente il pane, ma un cibo da strada che si chiama pane e panelle: frittelle di farina di ceci imbottite. Ma questa è un'altra storia. Nell'altro libro, m'avevano colpito in particolare il racconto che dà il titolo al libro. Un'altra cosa che non sapevo allora, e che lo stesso scoprii solo molti anni dopo: l'espressione mare colore del vino derivava a Sciascia da Omero. Per anni io l'avrei attribuita sic et simpliciter allo scrittore siciliano. L'altro racconto che mi doveva colpire particolarmente era quello di una truffa ai danni di aspiranti emigranti: vengono fatti viaggiare per giorni nella stiva di una nave, e quando vengono finalmente fatti scendere scoprono di non essere arrivati in America ma in Sicilia, cioè dove erano partiti! Un esempio del genere l'ho trovato poi alcuni anni fa vedendo un film di Silvio Siano, La donnaccia del 1965. Però l'episodio del film era tratto da un racconto di Pasquale Stiso, uno degli sceneggiatori... sarebbe interessante sapere i rapporti interni tra i due testi...
  Cosa amavo di Sciascia? Oltre all'impegno civile, la sua scrittura cristallina, l'intelligenza volterriana, questo sapore francese della prosa, la capacità di densa concisione, una modernità che sapeva di tradizione letteraria ecc. ecc.
   Non capii l'ultimo Sciascia, quello che se la prese con Falcone e i "professionisti dell'antimafia". Nell'ultima parte della sua vita s'era avvicinato al partito radicale. A Siracusa, con mia moglie, siamo andati recentemente ad un incontro proprio su Sciascia e i radicali. La cosa poteva essere interessante. Vedemmo al tavolo dei relatori anche Marco Pannella, con il codone bianco del suo nuovo look. Prese la parola Pannella, ma non parlò di Sciascia, ma di se stesso identificato con il Partito. Ce ne andammo senza finire di ascoltarlo. Un dato curioso, Sciascia, avvicinatosi ai radicali, scrisse, come aveva fatto anche Pasolini, mi pare,  su "Quaderni Radicali". Bene, anch'io, pur non essendo nel partito e neanche nel Movimento federativo Radicale di Geppy Rippa che aveva rilevato la rivista nella scissione, ho collaborato per alcuni anni con i "Quaderni Radicali", devo dire in tutta libertà pur non essendo "in linea". Bene, il mio primo intervento comparve nel primo numero al quale Sciascia non aveva potuto più collaborare. Il rammarico per non essere stato in sommario con Sciascia è però mitigato da un'altra circostanza. Nel primo numero al quale non collaborai più io comparve per la prima volta la firma di Vittorio Sgarbi. Per fortuna, io e Sgarbi non compariamo nello stesso sommario!

Enzo Rega

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Casualmente mi sono imbattuto in questo blog. E mi permetto di lasciare un commento.
Affermare che “Non capii l'ultimo Sciascia, quello che se la prese con Falcone e i "professionisti dell'antimafia", lascia intendere di non aver completamente capito Sciascia. Sciascia vede la mafia con un fenomeno sociale, e come tale può essere contrastato solamente da un rinnovamento culturale.
I c.d. professionisti dell’antimafia non hanno favorito la nascita di una nuova cultura, bensì si sono appoggiati su quella preesistente – mafiosa – per raggiungere una qualche soddisfazione personale.
In altri termini, a mio giudizio, quello che Sciascia rimprovera a coloro che, a vario titolo, hanno combattuto la mafia, è la loro incapacità di agire sul vero problema: la mente delle persone che mafiose non sono.
Sciascia, con quella definizione, aveva ben presente l’esito di quel periodo di “dura” lotta alla criminalità: deve cambiare tutto, affinchè tutto resti uguale.
Saluti

Enzo Rega ha detto...

Il problema è che c'erano reati da perseguire, e questo andava fatto dai magistrati. Non capisco cos'altro potessero e dovessero fare. Se vogliamo, quello di agire sulle menti delle persone non era più un problema della magistratura, in quanto tale, e non lo si può imputare semplicemente a chi, a rischio della vita,com'è stato, faceva il suo mestiere. Poi credo - anche se non sono uno specialista del problema - che a Falcone e Borsellino fosse ben chiaro pure il problema culturale e il loro era un esempio che agiva anche nell'immaginario culturale delle persone, era un esempio del fatto che la mafia si poteva combattere. E mi pare che la reazione popolare che ci fu alla loro morte, e poi all'arresto di Brusca ecc., dimostri come il loro operato fosse arrivato in termini di comunicazione alla gente normale. Non avrò capito completamente Sciascia, ma Sciascia forse non aveva capito completamente il significato dell'operato di coloro che chiamava professionisti dell'antimafia. Questo lo dico con tutta la grande ammirazione che ho, comunque, per Leonardo Sciascia. Cordialmente
Enzo Rega

p.s. mi avrebbe fatto piacere conoscere il suo nome e sapere da dove scrive...