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domenica 15 giugno 2008

Massimo Cacciari sul ruolo della Chiesa

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Qualche giorno fa, in un Post, a proposito della giustificazione da parte di Cacciari della validità giuridica della condanna di Giordano Bruno da parte della Chiesa, me la "prendevo" con il filosofo veneziano per certe sue posizioni pro Ecclesia e citavo la sua partecipazione a un altro incontro a Nola in ricordo del Concilio Vaticano II. Riporto ora qui un articolo da me scritto per quell'occasione e uscito nel 2002 sul quotidiano di Avellino (ora chiuso) "Piazza Libertà":

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ANCHE IL FILOSOFO VA IN CHIESA
Massimo Cacciari interviene a Nola sul Concilio Vaticano II
(ottobre 2002)
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di Enzo Rega
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Dopo anni di disinteresse per la religione se non di aperto anticlericalismo, la cultura e la filosofia italiana ritornano a confrontarsi con temi teologici, anche grazie a personalità provenienti da aree vicine al marxismo o comunque da ambienti della sinistra. Così è anche nel caso, fra i più autorevoli, di Massimo Cacciari, ex sindaco di Venezia, docente di Estetica nell’Università della città lagunare, che aveva già contribuito a “sdoganare” nella sinistra filosofi come Nietzsche e Heidegger. L’autore di Icone della Legge e de L’angelo necessario è intervenuto a Nola giovedì 17 ottobre, al Teatro Umberto I, nel primo degli incontri culturali organizzati per la stagione 2002-2003 dalla Biblioteca S. Paolino del locale Seminario. Il convegno pubblico, intitolato “A quarant’anni dal Vaticano II”, vedeva anche la partecipazione di Mons. Luigi Bettazzi, padre conciliare, che portava la diretta testimonianza dei lavori aperti nel 1962 da Papa Giovanni XXIII e condotti a compimento da Paolo VI. Fra il filosofo non credente e il vescovo della Chiesa di Roma si è realizzato un curioso e stimolante, inquietante, gioco delle parti, con il secondo che parlava come un laico e il primo, come ha sottolineato lo stesso Bettazzi, da vescovo. Cacciari, infatti, con la lucidità che lo contraddistingue, accoppiata a quello che, con apparente contraddizione, possiamo chiamare pathos argomentativo, ha parlato del Concilio Vaticano II non in una banalizzante ottica laica e mondanizzante, ma dall’interno di una prospettiva rigorosamente religiosa, tanto più interessante quanto perseguita da un non credente.
In apertura del proprio intervento nolano (in quella Nola, ricordiamolo, patria di Giordano Bruno – spirito profondamente religioso ma anticonformista – mandato a morte dalla Chiesa del Seicento), Cacciari ha sottolineato come il Concilio Vaticano II avesse rivalutato un tipo di spiritualità viva, nel Novecento, soprattutto in laici e non credenti o in teologi non cattolici, come il protestante Karl Barth. E il Concilio ha reso poi possibile un dialogo prima impossibile fra credenti e non credenti. Già questa capacità di attingere a fonti diverse per riproporle al mondo cattolico è in linea con il principio che informa il Concilio: il cristiano deve finalmente essere considerato maturo e responsabile, non più un puer da formare. Qualcosa di sconvolgente, ammette Cacciari, è questa affermazione di libertà, è l’“inaudito” del cristianesimo e rappresenta anche una drammatica contraddizione nei testi conciliari, nei quali contemporaneamente si afferma l’impossibilità di salvezza al di fuori della Chiesa. Contraddizione interna al paradosso generale per il quale la Chiesa è custode della fede ma in vista della crescita del credente e della sua emancipazione dalla Chiesa stessa, la quale così lavora per la propria fine istituzionale. Se ciò è proprio del Concilio, è però rintracciabile nella storia della Chiesa: Sant’Agostino – ricorda Cacciari – non diceva forse: “io sono il vostro vescovo, ma sono un cristiano come voi”? Il vescovo dunque non è più il capo, ma colui che consiglia in un “familiare commercio”. Il vero atto di fede che emerge da questi atteggiamenti non è quello di credere in Dio, ma nell’uomo. “La vera fede – ribadisce Cacciari – è credere nell’uomo”. L’uomo, in quanto capax Dei è capace di “fare la pace”, come spesso ripete il Vangelo. Quel Vangelo sostanzialmente “prassico”, pratico, nel quale la parola più ricorrente è poiein, “fare” appunto. Il carattere pratico vale per l’etica, non può valere per la verità, continua il filosofo veneziano: non si può fare la verità, la verità la si contempla; si può e si deve invece fare la pace come realizzazione dell’amore per il prossimo e non di un generico amore per l’uomo (non l’astratta “filantropia”). Significa sentirsi responsabile, per il cristiano, della sofferenza altrui; è il "prendersi cura” (ricordiamo qui come la Cura sia tema fondamentale per Heidegger, quell’Heidegger che, pur muovendo da altre preoccupazioni, ha finito per offrire prestiti alla teologia protestante). Un cristianesimo esigente dunque – insiste Cacciari – quello che viene fuori dai documenti conciliari: si chiede ai credenti di costituire un “popolo sacerdotale”, di essere tutt’uno con i propri vescovi, i quali non vengono semplicemente nominati da un superiore terreno ma sono investiti direttamente da Cristo. Quello che ci si può chiedere ora è se il popolo cristiano è stato capace dell’assunzione di responsabilità richiesta dal Concilio. E la Chiesa stessa ha creduto al messaggio di maturità? Secondo Cacciari questa capacità, in questi quarant’anni, non c’è stata. E osserva che è stato più facile dimenticare il Concilio, metterlo fra parentesi. Ora – continua il filosofo – non bisogna tanto interrogarsi su cosa è vivo e cosa è morto dello spirito conciliare, quanto piuttosto chiedersi cosa di quel messaggio è così difficile da ascoltare. Alla conclusione dei lavori conciliari si è registrato un atteggiamento contrapposto: da un lato, da parte delle correnti più retrive, un tentativo di ridogmatizzazione; dall’altro, da parte delle ali più progressiste, un errore parallelo di estrema mondanizzazione. Dimenticando in questo caso che il Concilio, coerente con il Vangelo, non chiedeva semplicemente di entrare nel mondo e diventare pienamente di questo mondo. Al contrario, chiedeva di scegliere: “a quale padrone obbedisci? Deciditi!” Il cristiano deve sì entrare in questo mondo, ma portando un discorso che non è di questo mondo: questa è l’incarnazione, si è “in” questo mondo ma non si è “di” questo mondo. Quello della mondanizzazione, osserva però Cacciari, era un pericolo immanente ai testi conciliari nutriti in modo talvolta incontrollato dei fermenti più vivi e inquieti della teologia novecentesca. Alla fine, cosa fare a distanza di quarant’anni? Dice Cacciari: “Occorre riprendere il Concilio sulla base di ciò che non si è realizzato, per ridigerirlo, consapevoli dei pericoli. Sono ancora testi pericolosi”. Se la Chiesa sarà capace di farlo, potrà davvero porsi come l’unica autorità, non solo religiosa ma culturale, in grado di fare un discorso vero sul mondo contemporaneo. È a quel Concilio di quarant’anni fa che bisogna ancora rifarsi, perché se si tenesse oggi un nuovo Concilio – come ha osservato Mons. Bettazzi in risposta a una domanda – esso non potrebbe dire, di questi tempi, cose così radicali come allora. Cacciari ha poi osservato, riprendendo una domanda sull’ecumenismo degli incontri di Assisi, che la Chiesa non può rinunciare alla propria specificità: “L’ecumenismo si costruisce dibattendo la differenza. Altrimenti si fa spettacolo, importante anche quello. Rispetto ai bombardamenti sono meglio gli spettacoli di pace”. Ma vanno evitati i toni semplicemente “sentimentali”, come accade talvolta in simili occasioni. Il ruolo della Chiesa dunque rimane legato a quello dell’annuncio di una profezia, che forse rimarrà spesso inascoltato, ma per questo ancora più necessario contro il “nichilismo compiuto” dei nostri tempi. L’identità cristiana della nostra civiltà ridiventa così fattore correttivo indispensabile contro la sua corruzione.
La visione di Cacciari, rigorosa appunto in un’ottica interna alla Chiesa e allo spirito dei Vangeli, nel momento in cui riconosce l’importanza del ruolo del mondo religioso, e ne ribadisce l’unicità, ammette pure la sconfitta della cultura laica ormai inerme di fronte alla negazione dei valori umani fondamentali. C’è di che riflettere. Soprattutto al di fuori della Chiesa.

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