
Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 - Milano, 12 settembre 191)
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Di Salvo/Zagarrio, Tavola rotonda, La Nuova Italia, III ristampa 1972 |
Il primo ricordo che ho di Montale risale invece ad una mattina del giugno del 1974, quando, agli sgoccioli sudati della scuola, lo leggemmo in classe con i pochi compagni superstiti (gli altri avevano deciso che le vacanze erano già iniziate). Da lettore di antologie scolastiche erano andato già compulsando tutto quello che nei libri di testo si poteva trovare, lasciandomi accompagnare dalle brevi introduzioni e facendomi aiutare dalle note in calce: le antologie letterarie del ginnasio, come quelle delle medie, erano onnicomprensive e comprendevano testi più antichi e più recenti, italiani e stranieri. La nostra s'intitolava Tavola rotonda, e lì erano avvenuti probabilmente i miei primi incontri con il poeta di Genova. A meno che non mi ci fossi già imbattuto in antologie delle medie, ma, appunto, non ne ho più memoria.
Che Montale fosse di Genova, e legato alla Liguria, benché poi passato a Milano, lo rendeva più vicino a me, pure nato sotto la Lanterna, per poi tornare nella terra dei miei, sotto il Vesuvio. E soltanto negli anni Novanta dovevo passare, in macchina con un amico che ci ospitava nel capoluogo ligure, sotto la sua casa a Corso Dogali.
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dall'indice di Tavola rotonda |
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La casa di Montale a Corso Dogali, Genova |
Ma torniamo alle letture montaliane. La prima immersione intera in un suo libro è avvenuta al tempo del secondo liceo classico - ovvero al quarto anno delle superiori, anno scolastico 1975-76: ed è curioso come certe date, tramandatesi da un'età all'altra della nostra vita, siano ancora lì nel ricordo, a far da sentinella a certi momenti, a presidiarli, affinché tempi e luoghi della nostra epica personale non vadano smarriti. Eccomi allora leggere Ossi di seppia (una copia presa in prestito in biblioteca comunale), centellinando un testo alla volta, letto ad alta voce andando avanti e indietro nella stanza, intorno a quella scrivania dal ripiano verde, acquistata col padre proprio nel cuore di una Genova anni Sessanta. Leggevo e rileggevo ad alta voce, masticando le parole a volte aspre di Montale, con quelle loro giunture particolari, senza far caso allora al "correlativo oggettivo" se non per come, pur non "battezzato", suonava al mio orecchio mentre la mia bocca si riempiva di mare, limoni, ciottoli ecc (e anche di consonanze che non sapevo si chiamassero così:"abbaglia/meraviglia"/travaglio/muraglia/bottiglia").

Ma torniamo a quella trepida lettura nella mia stanza, al mondo che mi si spalancava nella stanza, ai richiami di un mare, quello ligure, mediterraneo, e ai confronti che spontaneamente sorgevano al liceale tra Montale e Leopardi. Riscontri che poi dovevo ritrovare pari pari in qualche critico più avveduto di quanto fossi io allora (e di quanto sia ancor'oggi io). Degli echi che sorsero allora, voglio e posso ora ricordate solo un "parallelo" tra il montaliano muro irto di cocci e la siepe leopardiana. Facile gioco, ma vera scoperta a quell'età.
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Maria Luisa Spaziani e Eugenio Montale |
Non credo vivessimo il Nobel a Montale come risarcimento per quello dato anni prima, e contestato, a Quasimodo, perché anche quello ci pareva meritato.

Il mio Montale. Ma il ricordo delle prime letture non sarebbe completo senza la rievocazione de Il pipistrello, che apre la terza parte di Farfalla di Dinard, una raccolta di narrativa di Montale del 1854. Ma ai tempi scovato in qualche antologia, ovviamente.
Ed eccolo ora, quel pipistrello svolazzare in questa stanza, che si affaccia sulla stessa veduta di allora. Ma non apro la finestra per scacciarlo, e lo tengo qui, con i ricordi. E con Montale.
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