Atrocità ad un incrocio: ebrei e palestinesi in "Stella errante" di Jean-Marie G. Le Clézio
Inizia giusto settanta anni fa la storia raccontata dal premio Nobel Jean-Marie G. Le Clézio nel romanzo Stella errante (1992; tr. it. il Saggiatore, 2010). Siamo nell'estate del 1943, a Saint_Martin -Vésubie, sulle montagne dell'entroterra nizzardo, durante l'occupazione italiana. Un'occupazione meno feroce di quella tedesca, se la comunità ebraica riesce, nonostante alcuni soprusi a sopravvivere decentemente. Sarà dopo l'8 settembre, in seguito all'armistizio che costringe le truppe italiane al ritiro, che gli ebrei, per sfuggire ai tedeschi che rimpiazzeranno gli italiani, a fuggire. Cosi, Esther-Hélène (adolescente dal doppio nome: il secondo di copertura rispetto al primo di chiara impronta ebraica), dovrà, insieme alla madre, separarsi dal padre, che aiuta altri profughi a fuggire: ma sarà preso dai nazisti e giustiziato. Nella rocambolesca fuga, prima lungo i valichi alpini verso l'Italia (che viene vista come terra della salvezza), poi su una nave, ugualmente italiana, diretta verso la terra promessa, a Israele, Esther segue un processo di riappropriazione della propria identità ebraica e della religione degli avi. Infatti, il padre, comunista e laico, l'aveva tenuta al di fuori della comunità. Nel comune pericolo, la giovane riscopre le proprie radici e il senso di appartenenza. Senso di appartenenza che, nel grande romanzo di Le Clézio, non comporta il disconoscimento delle altrui appartenenze e delle altrui sofferenze. Nel cammino verso la propria nuova residenza in Israele, la comitiva di Esther incrocia una carovana di palestinesi scacciati dalle proprie case per far posto ai nuovi arrivati. S'incrociano qui i destini tragici di due popoli. Dal convoglio palestinese si stacca una giovane araba che si avvicina a Esther porgendole un proprio quaderno - queu vecchi quaderni dalla copertina nera, su cui, in caratteri latini, ha scritto il proprio nome: Nejma. E chiede alla coetanea ebrea di scrivere a sua volta il proprio nome. Dopo questo incontro, il romanzo segue le vicende della comunità palestinese, costretta a vivere in un terribile campo profughi, tra fame e malattie che prima falcidiano vecchi e bambini: la peste poi porterà via tutti senza distinzione d'età. Il romanzo poi tornerà a seguire le vicende di Esther, con la sua nostalgia per un tempo andato e con il ritorno a Nizza e a Saint-Martin alla ricerca del passato e delle tracce del padre scomparso. Riconoscerà i luoghi della sua infanzia e quelli nei quali il padre ha perso la vita. La storia arriva fino al 1982, anno della morte della madre, le cui ceneri Esther disperderà in mare, rievocando i luoghi che hanno visto la storia d'amore dei genitori: l'Italia, in particolare, con il nome di Amantea, in Calabria, forse per l'assonanza stessa con "amanti" e "amore".
Nell'incrocio delle due carovane - ebrei e palestinesi - sta il senso di questo libro, benché poi esso segua più le vicende di Esther che di Nejma. Una tragedia non nega l'altra; una tragedia non assolve l'altra. Il riscatto degli ebrei che ritrovano una patria - Israele - avviene a discapito di un altro popolo, che la perde. Il fatto che la focalizzazione ritorni su Esther significa anche che la nuova ingiustizia perpetrata ora dalle vecchie vittime - gli ebrei - non cancella la portata di quella subita a opera dei nazisti. Nello stesso tempo, il fatto che gli ebrei abbiamo subito atrocità nel passato non toglie nulla alle atrocità ora subite dai palestinesi.
Senza dare giudizi, Le Clézio ci pone, con il suo sguardo dolente, di fronte all'incrocio di due atrocità, di due ingiuistizie, tra le tante, della storia.
Stella errante - anche in relazione al simbolo (la stella di David) del proprio popolo - è Esther (e questo, stella, è anche il significato del suo nome). Stella errante è anche Nejma (che, in arabo, significa ugualmente stella); è anche il suo popolo.
Nizza, agosto 2013
Nizza, agosto 2013
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