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giovedì 30 novembre 2017

Il compleanno di Moravia. Ricordi di un lettore


Alberto Moravia nel ritratto della sorella Adriana Pincherle, 1978


Il 28 novembre 2017 fanno centodieci anni dalla nascita di Alberto Moravia, nato Pincherle, da padre di origine ebraiche. Un compleanno un po' in sordina, anche se qua e là è uscito qualcos'altro di suo, come le lettere a Elsa Morante.
Eppure quando di anni Moravia ne faceva settanta - per fare un esempio -, e si era nel 1977, senza dubbio lo scrittore romano era un punto di riferimento nella vita culturale, letteraria, e anche politica in senso lato, di quegli anni. Quel porsi alla confluenza di psicoanalisi - con l'importanza data alla sessualità (in quegli anni circolavano molto anche le idee di Wilhelm Reich sulla Rivoluzione sessuale), di marxismo (per le critiche alla società borghese) e cattolicesimo (Moravia veniva considerato anche scrittore "cattolico") intrigava chi, un ragazzo, usciva dal liceo in quel fatidico '77 (il movimento, il processo 7 aprile, il convegno a Bologna sulla repressione), per cominciare l'università, tra tumulti che in realtà andavano spegnendosi in assemblee e "occupazioni simboliche" (cioè, facoltà bloccate senza che per forza qualcuno vi rimanesse a dormire). Era il Moravia (con altri) di "Né con lo Stato né con le BR", era l'anno tra l'uscita della raccolta di racconti intitolata Boh - apparsa nel 1976 e che era stato il primo suo libro che io acquistassi fresco di stampa - e il romanzo La vita interiore del 1978, letto in prestito. I racconti di Boh, scritti in prima persona femminile, m'erano sembrati rigorosi benché - o proprio perché - costruiti tutti su una stessa impalcatura, con una tesi teorica iniziale e uno sviluppo narrativo nella scabra, razionalistica e anche volutamente disadorna scrittura di Moravia: quel tono infranto solo nella prosa più colorita dei Racconti romani (usciti nel 1954), letti poco più in là, in anni universitari, e anche de La ciociara (1957), della quale avevo visto prima la versione cinematografica che un grande De Sica ne aveva tratto nel 1960, con una altrettanto grande Loren, ma anche un misurato e calibrato Jean-Paul Belmond. Non avevo acquistato invece Al cinema, il volume del 1975 che raccoglieva 148 recensioni di film, molte delle quali ero andato leggendo - giovane liceale - sulle pagine de "L'Espresso", nella rubrica dallo stesso titolo. Il mio sguardo cinematografico s'era andato formando anche grazie a quello di Moravia, ma adesso è difficile recuperare nella memoria la trepidazione con la quale si apriva il periodico, per trovarvi la rubrica cinematografica moraviana, e non solo quella.
 Mi sto muovendo a ridosso degli anni che vanno dalla seconda metà degli anni Settanta. Allora, un passo indietro: all'esame di maturità - tra Verga e altre cose - cito Gli indifferenti di Moravia affermando - ora forse sarei più cauto - che già nel 1929 anticipavano la stagione del neorealismo, anche se forse quella loro impostazione teatrale, con capitoli che si staccano come scene a teatro (e così anche per il successivo, più 'pesante' e involuto Le ambizioni sbagliate che ho letto solo da pochissimo) potrebbe portarci lontano dal neorealismo: ma l'attenzione per certi particolari e la critica della borghesia (ossessione moraviana) ci possono riportare nuovamente da quelle parti. Ma che importano le etichette: di sicuro era qualcosa di nuovo nella letteratura italiana. 
Allora, tornando all'università - tra Mezzocannone e il Rettifilo a Napoli - va detto che anche tra noi matricole di filosofia lo scrittore romano appariva riferimento imprenscindibile pure per gli elzeviri sui quotidani: ci servivano quei suoi ragionamenti sulla realtà, quello che poi sarebbe confluito nel volume Impegno controvoglia del 1980, del quale l'autore stesso aveva parlato in televisione, e che io  però allora non avevo acquistato. Un titolo che pure mi aveva colpito, così lontano - il titolo e l'autore - da quel Passione e ideologia di Pasolini: eppure i due erano amici. E come non ricordare, in una sera ventosa - almeno io rammento così la scena, e non voglio andare a verificare comodamente in un filmato sulla Rete - le parole di Moravia ai funerali di Pasolini. Anche qui cito a memoria: è stato assassinato un poeta, e nasce un solo poeta in un secolo. La televisione dicevo. Anche davanti alla telecamera, con il suo accento romano, e la voce roca ma anche un po' stridula - la ricordo ossimoricamente così - snocciolava i suoi lucidi ragionamenti che invogliavano a pensare, a continuare a pensare, oltre lui, magari anche contro di lui, o almeno diversamente da lui. Quello che voglio dire è che s'imparava un metodo. E ora - che non esistono più quelle passioni - non voglio sapere se quella passione per la sua opera e quella venerazione per l'intellettuale fossero bene o mal riposte. Oggi si gioca a smontare tanti miti - e non è neanche questione di miti, ma non so dire cosa.
Ma quando ho cominciato a leggere Moravia? Innanzitutto ce ne parlava al ginnasio lo stesso professore che ci parlava di Pavese, e di altri. La prima cosa sua che ho letto dovrebbe essere, al ginnasio appunto, un brano tratto da Agostino, il breve romanzo edipico-psicoanalitico apparso nel 1943 (il suo quarto romanzo), presentato sotto il titolo redazionale Il fumo dagli occhi: l'incontro al mare tra il borghese Agostino e i ragazzi del popolo. E Agostino è stato il secondo libro che ho letto di Moravia dopo il volume Racconti ripubblicato da Garzanti e letto tra il primo e il 12 dicembre 1974. Un occhio in copertina che appare al giovane lettore quello dello scrittore che scruta il mondo per metterlo poi nelle pagine che hai in mano. E in quarta di copertina una nota che presenta Moravia come il maestro anche degli allora nuovi scrittori francesi: quando nell'immediato dopoguerra Moravia torna per la prima volta in Francia - così informa la nota - Jean Paulhan l'accoglie chiedendogli "Cosa è venuto a fare qui? A trovare i suoi allievi?" La nota stessa cominciava con una citazione da Giacomo Debenedetti, allora sconosciuto al ginnasiale di provincia; "Davanti a un Moravia, inequivocabilmente nato per narrare, cade ogni preoccupazione di problemi sulla cosiddetta arte del romanzo", parole scritte recensendo una raccolta di racconti del 1937, probabilmente L'imbroglio che recava come sottotitolo Cinque romanzi brevi, in realtà piuttosto racconti lunghi ai quali era però possibile trasferire l'affermazione di Debenedetti sull'arte moraviana del romanzo. La mia edizione Garzanti del 1973 (da poco uscita al tempo della mia lettura) di questi racconti era in realtà la ristampa del volume Bompiani 1952 - che non va confuso con I racconti in due volumi dello stesso 1952 e vincitore allo Strega di quell'anno.
Sono dettagli che interessano solo al lettore che ricostruisce la propria storia che annovera come tappa successiva il romanzo La disubbidienza del 1948 che fa il paio con Agostino per quanto riguarda la giovane età del protagonista, qui Luca, antesignano dei futuri contestatori la cui contrapposizione al mondo degli adulti si sfoga nella distruzione del denaro; un libro letto dal 24 luglio al 6 settembte del 1975 poco dopo I fratelli Karamazov: e sappiamo quanto importante sia stato Dostoevslij per Moravia, precoce lettore e precocissimo scrittore (aveva solo 21 anni quanno usciva il suo primo romanzo). E poi tra il giugno e gli inizi del luglio 1976 si compiva la lettura dei racconti di Boh, questi acquistati all'uscita in una piccola libreria di Nola: in realtà fatta acquistare dal padre, mentre i Racconti erano stati personalmente scovati, per caso, in una cartolibreria di qui, di Palma Campania, in una rastrelliera che esponeva la collana de I Garzanti, spesso compulsata per trarne fuori anche La paga del soldato di Faulkner o Figli e amanti di Lawrence, ma questa nell'allora neonata collana de I grandi libri Garzanti. A seguire, di Moravia, vengono i saggi de L'uomo come fine, presi nella Biblioteca civica locale e letti tra fine del 1977 e inizio del 1988, ma anticipando alcuni saggi al giugno 1977, in preparazione del già menzionato esame di maturità, per il quale servirono i passaggi su Monaldo Leopardi e sui Promessi sposi quale romanzo ideologico da "realismo cattolico" alla stregua del "realismo socialista". Mi doveva colpire, tra le altre cose, il saggio che distingueva in qualche modo - cito a memoria - tra razionalità e ragionevolezza umana: nel caso della costruzione di una strada, la razionalità vuole che si scelga il percorso più breve tra A e B, a costo di radere al suolo case, coltivazioni o quant'altro; la ragionevolezza umana (umanista) accetta invece la deviazione che salvaguarda le cose umane.
Seguiranno via via gli altri libri: La vita interiore, al momento della sua uscita (così esplicitamente centrato sulla questione sessuale da rasentare, per qualcuno, la pornografia), dal 15 al 18 luglio 1978, Gli indifferenti dal 19 al 22 luglio, i Racconti romani - regalo di compleanno da parte di Gerardo Santella per i miei venti anni (venti anni!) -, letti dal giorno successivo del compleanno, e cioè dal 17 agosto al 27 agosto 1978. E ancora La bella vita (il primo libro di racconti del 1935) in prestito, poco dopo nel settembre di quell'anno.
La mia formazione moraviana era avvenuta, se poi da quell'anno salto al 1983 per la lettura di 1934 (io lo prendo nell'edizione Euroclub). Mi piace il primo capitolo, ma mi deludono gli altri capitolo, così come gli altri libri che seguono, un Moravia minore che la critica continua a osannare parlando sempre di ennesimo capolavoro. Nel frattempo, recupero le altre opere precedenti, come La noia (risposta italiana a La nausea di Jean-Paul Sartre), e - cito a caso - Il disprezzo, Il conformista (con la visione dei relativi film) ecc.
Un particolare: quando volevo riprendere a scrivere, dopo un'interruzione, sentivo il bisogno di leggere un nuovo Moravia, o riprendere Pavese.
Un altro rito: nei miei viaggi da Nord a Sud, con scalo a Roma, prendevo ritualmente un libro di Moravia che non avevo ancora alla Stazione Termini, quella della sua città. Perché? Non so. Dei riti non si sa sempre - forse mai - spiegare la ragione. Il rito, si sa, comunque, rivive il mito.

(Mitico nel ricordo: i Racconti di Moravia li andavo leggendo sul balcone di casa mia, di fronte alla collina che sta dirimpetto alla casa, tra i vasi delle piante; ecco, mentre leggo, un petalo di geranio cade sulle pagine aperte del libro di Moravia).

2 commenti:

Unknown ha detto...

Grazie, Enzo, per la magnifica disamina,scorrendo la quale anche un amico impara a conoscerti meglio (oltre a ripercorrere la vicenda pubblica di un Grande: Moravia resta per me il narratore esemplare dei suoi anni, tanto più vivo oggi - per me è vivissimo - quanto è stato, negli anni in cui scriveva, sempre incollato a quei particolari giorni, a quel sentire unico che è carattere indelebile di tutte le stagioni di vita civile, o incivile, di un'intera comunità: comunità romana, e italiana; comunità mondo, per molti versi. E alcuni dei suoi romanzi sono indubbiamente tra i più importanti del'900, mentre altri, impressi come marchi a fuoco nelle coscienze e nelle anime, stanno lì, fermi nella nostra 'vita interiore', inattaccabili bronzi del perturbante)...
ps: sono eugenio

Enzo Rega ha detto...

grazie a te, Eugenio, per l'attenta e affettuosa lettura