Ai dati di Tito Boeri dell'Inps sulle entrate che vengono dagli immigrati e che permetterebbero di pagare le pensioni agli italiani, un cardiologo di Napoli obiettava - in un mio post su fb - che gli stranieri lui li vedeva solo ai semafori a pulire i vetri, o a chiedere l'elemosina, a rubare ecc. ecc. Che veniva a contare Boeri? La massa degli immigrati era lì a non fare niente. Allora io ho risposto al medico che forse lui aveva dati che a Boeri sfuggivano. E il medico, irridendomi e insultandomi, mi risponde: "ma che dati e dati, che hai anche tu gli occhi foderati di prosciutto che non li vedi in giro gli immigrati?".
Certo, questo è ciò che balza agli occhi. Se l'esperienza diretta è importante, la scienza, da Galilei in poi almeno, insegna che l'apparenza inganna spesso e bisogna andare oltre ciò che appare. Altrimenti saremmo ancora qui a dire che è il sole a girare. Proprio un medico irride i dati e si affida alla sola sua impressione. Le conoscenze mediche non derivano da un faticoso e lungo incrocio di dati, e dalla loro interpretazione? Come tutte le conoscenze scientifiche. Ma appunto, le conoscenze scientifiche non valgono più, gli studiosi sono solo spocchiosi intellettuali, se non addirittura al soldo di interessati committenti - il che ovviamente può accadere e accade. Ma contro la ricerca collaborativa a ogni modo risorge il primato dell'Io. Io penso, Io sento, Io voglio. Povero Bacone, che pensava già ai team di studiosi, e povero Platone (e prima Parmenide o Eraclito) che distingueva tra doxa e episteme, opinione e scienza. Sporchi intellettuali. Filosofi. Insomma: Boeri ha ragione? Non lo so. Io tendo a credere ai suoi dati, perché parla di dati da lui interpretati. Per smentirlo, dovrei avere altri dati, e saperli interpretare, e non solo la mia impressione personale.
Poi ci sono questioni etiche, politiche su cui il pensiero personale ha pieno diritto. Qualcuno può pensare che ci voglia un argine all'invasione di immigrati perché ciò mina l'identità culturale italiana. Questa non è questione di dati. E quindi si può legittimamente dissentire. Si può dire, in questo caso: Io penso; Io invece non credo. Però, bisognerebbe anche argomentare. Ma, si sa, anche argomentare è cosa da filosofi. Dio ne scampi.
Perciò dico che si può rispondere in base ai dati, o in base all'uso dei dati, non in base a quello che io vedo per strada. Boeri non è l'ultimo degli esperti, ma può sbagliare. Ma potrebbero sbagliare anche quelli che contestano la sua interpretazione dei dati. Il problema è il confronto, superando la fase del mero insulto. Questo è il punto. Non tanto stabilire - nella fattispecie - se Boeri abbia o meno ragione. Poi, epistemologicamente, è chiaro che i dati non sono la scienza, sono la base sulla quale la scienza lavora, e può farlo bene o male. Perciò occorre, come detto, un faticoso e lungo incrocio di dati. Questo incrocio e analisi ci portano alla scienza. Senza dati esiste solo la mia opinione personale. Se i dati non sono sufficienti, da soli, figuriamoci l'impressione personale e soggettiva. Che, pur in assenza di dati - vogliamo chiamarli riscontri? - molti sbrigativamente assolutizzano, insultando chi la pensa diversamente.
Sui social tutti diventano esperti di tutto, e sulla base della propria esperienza, o di pochi dati scorsi sui social stessi, pretendono di esprimere, senza diritto di replica, la propria opinione. Era quello che Umberto Eco diceva dei nuovi saccenti da social. Per essere aggredito sui social, dai social.
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