Perché?

Perché questo blog?
Per chi ama ancora la galassia Gutenberg?
Per chi ha paura dell'invasività della tecnica disumanizzante?
Per chi ritiene indispensabile ancora la cultura umanistica?

Affinché la tecnica sia davvero mezzo e non fine

sabato 13 ottobre 2018

John Donne, Nessun uomo è un'isola

Il ritratto di John Donne riprodotto è quello eseguito da Isaac Oliver




No man is an Iland,
intire of it selfe;
every man is a peece of the Continent,
a part of the maine;
if a Clod bee washed away by the Sea,
Europe is the lesse,
as well as if a Promontorie were,
as well as if a Mannor of thy friends
or of thine owne were;
any mans death diminishes me,
because I am involved in Mankinde;
And therefore never send to know
for whom the bell tolls;
It tolls for thee.


John Donne, "Devotions upon Emergent Occasions" (1623)


Nessun uomo è un'isola, intero per se stesso;
Ogni uomo è un pezzo del continente,
parte della terra intera; e se una sola zolla vien portata via
dall'onda del mare, qualcosa all'Europa viene a mancare,
come se un promontorio fosse stato al suo posto,
o la casa di un uomo, di un amico o la tua stessa casa.
Ogni morte di uomo mi diminuisce perché
io son parte vivente del genere umano.
E così non mandare
mai a chiedere per chi suona la campana:
essa suona per te.

[trad. it. da internet]

venerdì 12 ottobre 2018




Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 - Milano, 12 settembre 191)







Di Salvo/Zagarrio, Tavola rotonda,
 La Nuova Italia, III ristampa 1972
L'incontro con Eugenio Montale risale almeno agli anni delle medie, anche se non mi soccorre nessun ricordo diretto, a differenza degli altri due poeti della triade novecentesca, delle "tre corone" del Novecento: di Ungaretti ricordo le letture cavernose che precedevano la messa in onda delle puntate "epiche" (è il caso di dire) dello sceneggiato televisivo di Franco Rossi dedicato all'Odissea; di Quasimodo invece ho ben presente lo studio a memoria, alle elementari, di Milano 1943 (con quella mano che inutilmente scava tra le macerie), e la notizia della sua morte data in un telegiornale del tempo (e poi negli anni Duemila sono stato a un  Convegno ad Amalfi, dove si ricordava il malore fatale avuto proprio nella cittadina della costiera). 
   Il primo ricordo che ho di Montale risale invece ad una mattina del giugno del 1974, quando, agli sgoccioli sudati della scuola, lo leggemmo in classe con i pochi compagni superstiti (gli altri avevano deciso che le vacanze erano già iniziate). Da lettore di antologie scolastiche erano andato già compulsando tutto quello che nei libri di testo si poteva trovare, lasciandomi accompagnare dalle brevi introduzioni e facendomi aiutare dalle note in calce: le antologie letterarie del ginnasio, come quelle delle medie, erano onnicomprensive e comprendevano testi più antichi e più recenti, italiani e stranieri. La nostra s'intitolava Tavola rotonda, e lì erano avvenuti probabilmente i miei primi incontri con il poeta di Genova. A meno che non mi ci fossi già imbattuto in antologie delle medie, ma, appunto, non ne ho più memoria. 
dall'indice di Tavola rotonda
Che Montale fosse di Genova, e legato alla Liguria, benché poi passato a Milano, lo rendeva più vicino a me, pure nato sotto la Lanterna, per poi tornare nella terra dei miei, sotto il Vesuvio. E soltanto negli anni Novanta dovevo passare, in macchina con un amico che ci ospitava nel capoluogo ligure,  sotto la sua casa a Corso Dogali.
La casa di Montale a Corso Dogali, Genova

   Ma torniamo alle letture montaliane. La prima immersione intera in un suo libro è avvenuta al tempo del secondo liceo classico - ovvero al quarto anno delle superiori, anno scolastico 1975-76: ed è curioso come certe date, tramandatesi da un'età all'altra della nostra vita, siano ancora lì nel ricordo, a far da sentinella a certi momenti, a presidiarli, affinché tempi e luoghi della nostra epica personale non vadano smarriti. Eccomi allora leggere Ossi di seppia (una copia presa in prestito in biblioteca comunale), centellinando un testo alla volta, letto ad alta voce andando avanti e indietro nella stanza, intorno a quella scrivania dal ripiano verde, acquistata col padre proprio nel cuore di una Genova anni Sessanta. Leggevo e rileggevo ad alta voce, masticando le parole a volte aspre di Montale, con quelle loro giunture particolari, senza far caso allora al "correlativo oggettivo"  se non per come, pur non "battezzato", suonava al mio orecchio mentre la mia bocca si riempiva di mare, limoni, ciottoli ecc (e anche di consonanze che non sapevo si chiamassero così:"abbaglia/meraviglia"/travaglio/muraglia/bottiglia"). 

   Le imparavo a memoria, le poesie, anche se solo una parzialmente sarebbe dovuta sopravvivere al naufragio stesso della memoria: "Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale / siccome i ciottoli che tu volvi...". Proprio questa mi sarebbe toccato dire, a due voci, con Maria Luisa Spaziani  - sì, proprio lei, la "volpe" di Montale - mentre un giorno negli anni Zero del Duemila l'accompagnavo alla stazione di Napoli dove l'aspettava il treno per Roma.
   Ma torniamo a quella trepida lettura nella mia stanza, al mondo che mi si spalancava nella stanza, ai richiami di un mare, quello ligure, mediterraneo, e ai confronti che spontaneamente sorgevano al liceale tra Montale e Leopardi. Riscontri che poi dovevo ritrovare pari pari in qualche critico più avveduto di quanto fossi io allora (e di quanto sia ancor'oggi io). Degli echi che sorsero allora, voglio e posso ora ricordate solo un "parallelo" tra il montaliano muro irto di cocci e la siepe leopardiana. Facile gioco, ma vera scoperta a quell'età.  
Maria Luisa Spaziani e Eugenio Montale
   Quella partecipata e intensa lettura - e le conversazioni con i compagni e amici di lettura di allora - furono propedeutiche alla attribuzione del Nobel a Montale, proprio a lui, nel 1975. Orgoglio "italico" e orgoglio personale per averlo già scoperto e amato s'intrecciavano e mescolavano tra loro.
   Non credo vivessimo il Nobel a Montale come risarcimento per quello dato anni prima, e contestato,  a  Quasimodo, perché anche quello ci pareva meritato. 
   Però per anni Montale ci doveva sembrare il più grande - fermo restando l'amore per Quasimodo e Ungaretti, e Pavese, e per altri nomi che andavano aggiungendosi al di là delle "tre corone". Così, mi sembrò cosa preziosa regalare a un amico per un compleanno la prima edizione nei Millenni Einaudi, del 1980, de  L'opera in versi che raccoglieva tutto Montale. Invidioso, di lì a poco procuravo a me stesso la seconda edizione di quell'elegante volumone, credo il primo Millennio acquistato per la mia biblioteca. Al quale s'è aggiunto anche il Meridiano con tutte le poesie, e gli altri con la narrativa e gli articoli. 
    Il mio  Montale.  Ma il ricordo delle prime letture non sarebbe completo senza la rievocazione de Il pipistrello, che apre la terza parte di Farfalla di Dinard, una raccolta di narrativa di Montale del 1854. Ma ai tempi scovato in qualche antologia, ovviamente.
   Ed eccolo ora, quel pipistrello svolazzare in questa stanza, che si affaccia sulla stessa veduta di allora. Ma non apro la finestra per scacciarlo, e lo tengo qui, con i ricordi. E con Montale.
 



lunedì 24 settembre 2018

L'Austria sovranista "riscrive" nei libri scolastici il Risorgimento italiano


In pratica la destra nazionalista austriaca, che non vuole immigrati, e quindi minoranze, ed è nemica della globalizzazione (ovviamente, da destra, in chiave sovranista), accusa il risorgimento italiano di essere stato nazionalista contro lo stato cosmopolita austriaco trattando da minoranza gli austriaci occupanti. Si dimentica che al tempo il nazionalismo era quello dei popoli che cercavano l'autodeterminazione contro gli invasori stranieri (che non erano gli immigrati, ma Stati in armi). Certi nazionalismi ottocenteschi erano altra cosa rispetto ai nazionalismi fascisti novecenteschi e ai sovranismi (idem fascisti) odierni. Con la scusa di voler fare uno stato italiano i patrioti risorgimentali volevano in realtà - questa la ricostruzione - dissolvere l'Impero multinazionale austroungarico. Gli occupanti da oppressori diventano vittime. E gli oppressori sono Cavour e (sic) Mazzini. Va be' che ora in Italia va di moda, da Nord a Sud, l'odio contro Mazzini e Garibaldi. Ecco gli austriaci buoni alleati in quest'odio dunque transnazionale! Le critiche, pure legittime, alle modalità del processo unitario italiano (vedi Gramsci) assumono una coloritura delirante! Ma tant'è. Questo "va" oggi...
Da un punto di vista storico, poi, molte pagine del Risorgimento devono ovviamente ancora essere analizzate. Come in tutti i processi storici avranno agito diversi elementi. Gli idealisti che volevano semplicemente una "patria" per tutti gli italiani. Chi come Mazzini - ma chi lo ricorda? - univa a una questione patriottica anche una questione sociale a favore delle classi più povere. Chi vedeva l'occasione per promuovere un'espansione territoriale: i Savoia. Ma ridurre tutto il Risorgimento - e anche le motivazioni di Mazzini, Garibaldi, Pisacane - alla conquista regia sabauda è possibile? Ed è storiograficamente corretto? Condannare tutto il Risorgimento per le modalità con le quali è avvenuta l'unificazione è giusto? Coinvolgere lo stesso Cavour nel giudizio negativo per la costruzione di un Paese alla quale (costruzione) non ha potuto partecipare perché morto presto è parimenti corretto? 
Imputare la decadenza del Meridione solo al "sacco" operato dai Piemontesi senza coinvolgere nel giudizio le stesse classi dirigenti meridionali complici è possibile?

sabato 22 settembre 2018

Rapallo. Ricordo


Rapallo.

E. F. Batty, Veduta di Rapallo, 1820 (incisione in acciaio)


            Fugace puntata nelle terre natie. Ma Genova è solo sfiorata. A Rapallo ci accoglie il sole, e, per me, già all'olfatto, e agli occhi, un’aria e una luce conosciuti. Il ricordo delle gite domenicali dell’infanzia: da Genova a Rapallo, da Genova a Recco, da Genova a Nervi. Un’aria sottile, una luce sul filo d’una lama. Sottilissima ebbrezza salmastra. E, dietro il lungomare, vicoli come calli veneziane (e c’è difatti una via Venezia). In auto, al ritorno, il solito scoramento.

L'acqua di Parigi

  


 L’acqua si porta via da sé, lentamente e inesorabilmente, con la calma che il saggio ha di fronte alla morte, trascinandosi appresso il sole a placche, a scaglie. Un quatto e pigro alligatore, appena stordito da un leggero pasto; già la coda scompare alla prima svolta che un’orda gli tiene dietro nel magnifico silenzio delle auto rombanti. Alta su tutto, la sfida verticale della Torre di metallo.
Da tempo Parigi strizzava l’occhio alle nostre stanze di adolescenti, affollate di speranze e ingombre di libri. 

Enzo Rega, Il racconto di Parigi, in "ClanDestino" (1987?)


mercoledì 5 settembre 2018

NAPOLI: incontro con il poeta SOTIRIOS PASTAKAS

Sotirios Pastakas a Napoli
Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
martedì 18 settembre 2018 ore 18




Sotirios Pastakas è nato nel 1954 a Larissa in Tessaglia, dove è tornato a vivere due anni fa. Ha studiato medicina a Roma, dove ha trascorso alcuni degli anni più significativi per la sua formazione spirituale. Per trent’ anni ha lavorato come psichiatra ad Atene. Ha pubblicato quattordici raccolte di poesie, un monologo teatrale, un libro di saggi e traduzioni di poeti italiani (Sereni, Penna, Saba, Pasolini, Gatto). 

domenica 2 settembre 2018

Cesare Pavese, da "Tra donne sole", 1949



Arrivai a Torino sotto l'ultima neve di gennaio, come succede ai saltimbanchi e ai venditori di torrone. Mi ricordai ch'era carnevale vedendo sotto i portici le bancarelle e i becchi incandescenti dell'acetilene, ma non era ancor buio e camminai dalla stazione all'albergo sbirciando fuori dei portici e sopra le teste della gente. L'aria cruda mi mordeva alle gambe e, stanca com'ero, indugiavo davanti alle vetrine, lasciavo che la gente mi urtasse, e mi guardavo intorno stringendomi nella pelliccia. Pensavo che ormai le giornate s'allungavano, e che presto un po' di sole avrebbe sciolto quella fanghiglia e  aperto la primavera.

Cesare Pavese, Tra donne sole, 1949


sabato 25 agosto 2018

Cesare Pavese, da "Il diavolo sulle colline", 1948



“Eravamo molto giovani. Credo che in quell’ anno non dormissi mai. Ma avevo un amico che dormiva meno ancora di me, e certe mattine lo si vedeva già passeggiare davanti alla Stazione nell’ ora che arrivano e partono i primi treni.”

      Il diavolo sulle colline- Cesare Pavese

giovedì 23 agosto 2018

Pavese: da "La bella estate", 1940







« A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e attraversare la strada, per diventare come matte, e tutto era bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravano ancora che succedesse qualcosa, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino, o magari venisse giorno all'improvviso e tutta la gente uscisse in strada e si potesse continuare a camminare fino ai prati e fin dietro le colline... »



venerdì 10 agosto 2018

Patria, a partire da una frase di Nagib Mahfuz


"La Patria di un uomo non è il luogo dov'è nato, ma quello dove cessano i suoi tentativi di fuggire".
(Nagib Mahfuz)

Lo scrittore egiziano premio Nobel NAGIB MAHFUZ (1911-2006)




Per fortuna c'è chi non ha bisogno di fuggire. Ma tanti italiani sono dovuti fuggire e stanno fuggendo. Cercano anche loro altre patrie altrove, o una vera patria. Che può essere anche quella in cui siamo nati, se "ci accoglie" e non ci respinge, noi "nativi". Io, come Maalouf - mi si perdoni di citare un grande autore arabo - preferisco parlare di Origini più che di Radici. Le radici possono indicare immobilità anche mentale. Le origini sono come quelle di un fiume che sorge e va arricchendosi delle tante acque di affluenti che vi confluiscono pur sorti altrove. O, come dice un altro poeta, "sono un albero con le radici nel cielo". O qualcun altro parla di identità multiple. Cosi, io sono "italiano", e sono contento di esserlo - contento, non c'è bisogno di essere fieri. E sono nato a Genova figlio di napoletani e sono tornato a Napoli dove mi sono laureato, e poi ho insegnato in Lombardia, e poi sono tornato in Campania, e poi mi sono sposato in Sicilia. E sono stato fidanzato con una tedesca, una bergamasca, una calabrese e una nigeriana. E sono genovese, napoletano, lombardo, siciliano. Ma sono anche osco, greco, latino, probabilmente ebreo e arabo e spagnolo. Fiero di essere meticcio. Come  tutti sono meticci: vogliamo fare la prova del DNA? Scriveva Dedalus di Joyce, a proposito della propria patria: Dublino, Irlanda, Europa, Terra, Via Lattea. Siamo tutti figli delle stelle, e del caso. E Mahfuz è scrittore della mia Patria, come Thomas Mann e Annamaria Ortese.


ps. C'è un bel libro di Jenny Erpenbeck, Voci del verbo andare (Sellerio editore), che focalizza bene questa fuga in cerca di patria, dall'Italia alla Germania e da un luogo all'altro della Germania, dei tanti migranti di oggi.

Voci del verbo andare





sabato 28 luglio 2018

Pasolini: semiologia del reale






Cominciamo da una questione apparentemente “superata”, ora che internet è ben più invasivo: l’ossessione di Pasolini contro la televisione. In un certo momento storico italiano (e non solo) è sembrata pienamente realizzata la profezia pasoliniana per la quale il potere economico avrebbe fatto a meno della mediazione del potere politico uscendo allo scoperto. Nello stesso tempo esso sarebbe stato potere televisivo, con una televisione che avrebbe svelato vieppiù il suo volto, legata al potere economico-politico e strumento d’istigazione al consumismo: il berlusconismo è stato tutto questo, con una televisione commerciale nella quale un Mike Bongiorno, sua incarnata epifania, considera che il successo di un programma non è più determinato dall’audience ma dall’aumento di vendita dei prodotti reclamizzati. La critica di Pasolini al consumismo si dispiega quando il fenomeno da noi è all’inizio: da un lato è la virtù profetica, dall’altro la capacità di “gigantografare” il proprio Paese, in una sorta di blow-up, anche sulla scorta di quanto ha visto nei propri viaggi americani, a New York, nel 1966 e nel 1969: uno stadio avanzato sia di quello che il “corsaro” chiama “edonismo consumistico” sia dell’uso in tal senso del mezzo televisivo. 

continua

sabato 13 gennaio 2018

"Il pensiero poetante. Antologia tematica di poesia e teoria": "Il mito" (2017)



Dal nuovo volume monografico di "Il pensiero poetante" (Antologia tematica di poesia e teoria) dedicato a Il mito - a cura di Fabio Dainotti - riportiamo l'inizio della Premessa e l'indice:

PREMESSA
Mircea Eliade, proprio all’inizio del suo Il mito dell’eterno ritorno (1949), dichiara di voler analizzare le società “premoderne” o “tradizionali”, intendendo sia il mondo che viene chiamato “primitivo” sia le antiche civiltà di Europa, Asia e America, culture che hanno espresso nel mito le proprie concezioni dell’essere e della realtà, incorporandovi la propria “filosofia”. Scrive Eliade: “Evidentemente le concezioni metafisiche del mondo arcaico non sono state sempre formulate in un linguaggio teorico, ma il simbolo, il mito, il rito esprimono, su piani diversi e con i mezzi che sono loro propri, un complesso sistema di affermazioni coerenti sulla realtà ultima delle cose, sistema che può essere considerato una vera metafisica” (tr. it. Borla, Milano 2010). Svelati, i miti, rivelano la volontà di questi uomini di individuare la propria posizione nel cosmo, laddove invece, nota Eliade, l’uomo moderno occidentale, erede della tradizione giudaico-cristiana, vuole piuttosto fare i conti con la storia. Ma, pur provenendo da sponde diverse, Edgar Morin, nella sua “critica” autobiografia (Autocritica, 1958), dopo il predominio della ragione strumentale oggettivante (il feticcio della “realtà oggettiva”), ribadisce come la magia, il mito, l’immaginario facciano parte delle “strutture umane”.
Il confronto col mito è dunque, sempre e per sempre, ineludibile.

INDICE

POESIA
Aldo Amabile, Palinodia ultima
Aldo Amabile, Davvero credevi che il mondo finisse
Tommaso Avagliano, Epitaffio per un soldato
Donatella Bisutti, Sciamano
Corrado Calabrò, Il filo di Arianna
Giovanni Caso, Nella scintilla del mito
Antonio Filippetti, Il mio mito
Luigi Fontanella, Di puro sorriso
Luigi Fontanella, In una sala d'attesa
Gianpasquale Greco, Marc'Aurelio (Kairos)
Steven Grieco-Rathgeb, Monologo di Erisychthon
Vincenzo Guarracino, Ballata delle Parche
Giorgio Linguaglossa, La città degli immortali
Luigi Mazzella, Il mito
Ines Betta Montanelli, Non c'è luna stanotte
Ines Betta Montanelli, I miti dell'infanzia
Emanuele Occhipinti, Nostalgia del regno di Crono
Guido Oldani, Parole vere
Guido Oldani, Il modello
Guido Oldani, Le suole
Guido Oldani L'osservatorio
Guido Oldani, Gli uccellini
Laura Sagliocco, Linfe caste di Afrodite

DISEGNI
Michelangelo Angrisani
Corrado Calabrò
Claudio Guariglia
Renato Intignano
Rosamaria Maiorino Balducci

PROSA
Corrado Calabrò, Senso, realtà, mito nella poesia classica
Marina Caracciolo, Il mito di Barbablù dalla favola di Perrault a Gilles de Rais alle "Palinodie" del Novecento
Francesco D'Episcopo, Mitografie letterarie
Carlo Di Lieto, "Il teatro dei miti": l'ultimo Pirandello
Marco Galdi, Il mito di Europa
Emerico Giachery, Ungaretti e il mito
Guido Oldani, L'innominato del realismo terminale
Enzo Rega, Il mito, pensiero poetante
Lorenza Rocco Carbone, Dino Campana, mito e poesia

*
Genesi Editrice
via Nuoro, 3
10137 Torino
genesi@genesi.org

per informazioni e richieste
fabiodainotti@libero.it
enzo.rega@libero.it