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lunedì 23 marzo 2009

Filosofia e tecnologia: una considerazione

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Ad un pubblico incontro in cui si invitavano gli insegnanti di un certo territorio ad aderire, gratis, con le loro classi, a un certo progetto, peraltro importante, ma il cui finanziamento non arrivava fino alle tasche dei volenterosi docenti, un presente – forse esagerando un po’ – sottolineò l’importanza di un rapporto fra la consueta pratica didattica e le nuove tecnologie. Qualcun altro, intervenendo, disse che inorridiva a sentire la parola “tecnologia” e non sapeva neanche accendere il computer e, poi, continuava a preferire il libro.
Fermo restando la preferenza condivisibile per “il libro”, si può fare finta che tutto il resto non esista? Certa pedagogia accademica pontifica astrattamente sulla media education magari senza pensare alle difficoltà di vario tipo – risorse di tempo e di denaro nella scuola “reale”. Ma, d’altra parte, come si può continuare a pensare di parlare, come docenti, un linguaggio che è vecchio per chi nelle nuove tecnologie vive e dalle nuove tecnologie è allevato più di quanto lo sia dalla scuola?
Si è più docenti così?
Ma non solo. È filosofo chi continua a leggere in un libro, come gli scolastici, anziché leggere nel gran libro, per quanto spiacevole, della realtà? È filosofo chi magari conosce tutto l’importantissimo Saggio sull’intelletto umano di John Locke ma non si chiede cosa avviene, cognitivamente e emotivamente, nelle menti d’oggi, oggi esposte alle nuove tecnologie?
A proposito di tecnologie, o di tecnica, anche la scrittura lo è. E Socrate l’osteggiava. Se avesse vinto, non avremmo nemmeno il piacere, giustamente rivendicato, della lettura e del contatto “fisico” con il libro.
[E.R.]

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