Donata Doni |
Il 22 novembre 2015 si è tenuta la terza edizione del premio dedicato alla poetessa lucano-romagnola Donata Doni (Lagonegro 1813 - Roma 1972). In attesa della pubblicazione della relazione (rivista ora sotto forma di saggio) che ho tenuto nella precedente edizione - 22 novembre 2014 - in "Italian Poetry Review", ripropongo due brevi scritti relativi a quella seconda edizione
DONATA DONI FA RITORNO A LAGONEGRO,
CONTRO IL FEMMINICIDIO
(22 novembre 2014)
È importante che una comunità ricordi, e
celebri, le sue espressioni migliori, com’è avvenuto il 22 novembre 2014,
quando Lagonegro si è ritrovata intorno alla figura di Donata Doni, al secolo
Santina Maccarrone, nata nella cittadina lucana nel 1913 e morta a Roma nel
1972. La manifestazione, fortemente voluta da Agnese Belardi, e realizzata per
il secondo anno consecutivo, si è svolta in modo articolato. Da un lato il
ricordo della poetessa attraverso i suoi versi, letti in sala, o riascoltati in
un filmato proiettato, o riesaminati criticamente. Da un altro un balletto
eseguito da un gruppo di giovani: un modo per avvicinare le nuove generazioni
al nome della poetessa, e per iniziarli alla sua lettura. Dall’altro, ancora,
il premio intitolato a Donata Doni e assegnato a diverse personalità locali e
non. Un modo non scontato, dunque, di tributare un omaggio a un personaggio
importante. Probabilmente, un convegno accademico non avrebbe attratto nella
sala tutto quel pubblico accorso invece numeroso, tanto che alcuni son dovuti
rimanere in piedi. Anche se forse sarebbe interessante la stessa formula
dell’incontro accademico, nel senso che sarebbe stimolante sentire più studiosi
dibattere sull’opera letteraria della Doni per riconoscerle il posto che le
spetta nelle nostre patrie lettere. Da un lato dunque la promozione verso un
pubblico di lettori, dall’altro l’attenzione degli esperti. Sarebbe bello poi
che tutto questo culminasse in una ristampa di tutte le poesie di Donata Doni,
magari in un unico volume che permetta di seguire tutta la sua parabola
poetica. Così come sarebbe bello si raccolgano gli scritti critici che a lei
sono stati dedicati sulla stampa man mano che uscivano i suoi libri. Intanto,
Agnese Belardi ha fatto un prezioso punto sulla situazione rendendo note le
proprie ricerche in un volume uscito lo scorso anno, “Donata Doni. Una voce ‘oltre’ la vita” (Zaccara Editore). Un punto
che tira le fila rispetto al passato e apre al futuro. Nel nome di Donata Doni.
E nel suo nome la manifestazione a lei dedicata si è legata al tema del
femminicidio. Ricordare questa donna che ha sofferto per amore – come ha detto
Agnese Belardi nel suo appassionato intervento – offre l’occasione per
ricordare le tante donne che sono state vittime di uomini che non hanno perdonato
loro di non riuscire più a sopportare i tanti maltrattamenti, rivendicando così
la loro dignità. La manifestazione ha così anticipato la Giornata mondiale
contro la violenza sulle donne, ufficialmente fissata per 2014 per lunedì 25
novembre. Anche in questo caso, nel nome di Donata Doni, una donna impegnata
nella cultura, nell’arte, nel mondo dell’istruzione.
Enzo
Rega
Donata Doni - busto eretto a Lagonegro (opera di Franca Iannuzzi) |
PER DONATA DONI, POETESSA DI LAGONEGRO
di Enzo Rega
Va senz’altro un plauso al lavoro con il
quale Agnese Belardi, insegnante lagonegrese, cerca di portare l’attenzione di
lettori e studiosi, lucani e non, sulla poesia e sulla figura di Donata Doni,
nata a Lagonegro nel 1913 e spentasi a Roma nel 1972, dopo gli anni
fondamentali di formazione a Forlì e gli studi universitari a Padova. Se consideriamo
che il padre di Santina Maccarrone (questo il vero nome di Donata) era
d’origine siciliana e la madre invece lombarda (con una formazione anche a
Napoli), possiamo dire che la nostra poetessa abbia realizzato una propria,
personale unità d’Italia. A Donata Doni, Agnese Belardi ha dedicato un libro, Donata
Doni. Una voce “oltre” la vita (Zaccara Editore, Lagonegro, 2013), e,
finora, due incontri ufficiali a Lagonegro, in gemellaggio con Forlì. Poeti e
scrittori importanti come Diego Valeri, Diego Fabbri, Giovanni Titta Rosa hanno
riconosciuto il valore letterario della poesia della Doni, in un confronto
continuo con il dolore, la morte, Dio, ma anche con la natura, i luoghi
prediletti e l’amore. Una tensione, aggiunge Valeri, tra “felicità terrena” e
“pace assoluta nella verità” che ricorda, senza voler creare paragoni
imbarazzanti, l’oscillazione tra due poli opposti quale quella di un Petrarca.
E la poesia della Doni, nei suoi momenti più riusciti, ha un senso classico
della misura, una scrittura essenziale, la capacità di universalizzare il
proprio personale dolore, nella consapevolezza di una condizione particolare,
quale è quella, anche, di chi scrive versi. Pur non dandosi a una mera
scrittura ornativa, come è sempre Valeri a chiarire, la Doni rivela la sua
profonda preparazione culturale. Anche questa dimensione va sottolineata: una
donna “intellettuale” formatasi nella prima metà del secolo, che ha dedicato la
propria vita, oltre che alla poesia, anche all’educazione: come insegnante e con
la collaborazione, negli anni romani, con il Ministero della pubblica
istruzione. Da “allieva prediletta” di alcuni grandi maestri, come il già più
volte menzionato Valeri, a “insegnante preferita” di generazioni di allievi. Il
libro della Belardi raccoglie, infatti, anche la testimonianze di donne che
furono sue studentesse e che non ne hanno dimenticato il magistero. Nonostante
il ruolo ufficiale e pubblico ricoperto nella vita, la Doni non ha perso un
senso di esistenziale smarrimento, di “inappartenenza” al mondo degli altri,
come la “carta dispari” da cui prende il titolo una delle sue ultime raccolte
di poesia, vivendo sempre come un “pericolante acrobata dello squilibrio”. Da credente
all’interno del mondo cattolico, intraprende un lungo colloquio con Dio, nel
quale la sua inquietudine, pur nella fede, non sembra mai appagata del tutto,
anche se in una poesia si abbandona nell’abbraccio non con un Dio padre, ma con
l’immagine sorprendente di un Dio “bimbo”: abbraccio che ancora di più dà il
senso di una struggente dolcezza e lo instilla anche a chi meno sa accostarsi a
quella che si chiama “fede”. Nel finale abbandonarsi alla morte incombente
(esorcizzandola al contempo nei suoi versi) il richiamo della vita, nell’ultimo
anno, è ancora forte in lei: “Eppure la mia voce ti riporta / su queste strade,
/ ti richiama in questa vita. / L’ombra è dissolta. / Riappare la luce / della
tua anima, / riappare la forma del tuo corpo. / Sei nome, vita, respiro”.
Enzo Rega
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