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Oggi è il “compleanno” di Ernest Miller Hemingway. Il grande scrittore americano nacque il 21 luglio 1899 a Oak Park, un village, ovvero un sobborgo di Chicago, nell’Illinois, per morire, suicida, ormai in preda a una depressione che non gli permetteva più di scrivere, a Ketchum, nell’Idaho. Dopo gli italiani Pavese, Calvino, Sciascia, e dopo Kafka, Dostoevskij e Mann, o forse prima, è stato uno dei primi scrittori stranieri nei quali mi sia imbattuto. Era l’estate del 1973, un caldo agosto che trascorrevo in villeggiatura a Santa Maria di Castellabate, nel Cilento. Avevo appena fatto il quarto ginnasio, concluso senza infamia e senza lode; avevamo in affitto per un mese una appartamento in un vicolo del centro storico, e io passavo le ore in cui non ero al mare, che allora amavo, su un balconcino che ricordo all’ombra, spiando la ragazza dirimpettaia, cui non avrei mai rivolto la parola, e leggendo. Leggevo Isole nella corrente, una trilogia postuma tradotta da Vincenzo Mantovani, credo, e pubblicata negli Oscar: il libro, con la sua copertina a onde azzurre, è ancora negli scaffali della mia biblioteca, nel settore nordamericano, insieme a tutto Hemingway, letto poi a ritroso e in rigorosa sequenza cronologica, a partire da quel libro “marino”. In quello scaffale di libreria mancano solo la raccolta degli articoli giornalistici e quella delle poesie di Hem. Per il resto c’è tutto, anche gli altri libri postumi pubblicati più recentemente. Lessi anche, di lì a poco, sempre negli anni del liceo, la monumentale biografia di Carlos Baker, uscita negli Usa nel 1969 e in Italia nel 1970 (Hemingway era morto in fondo da poco). Quel grosso volume, dalla copertina nera con foto, invece non è presente nella mia biblioteca. Lo trovai, addirittura, nella Biblioteca comunale di Palma Campania, dove andavamo spesso, alla ricerca di sorprese come questa, con l’amico Pino Ionta, ora neuropsichiatra ma sempre attento alle cose della cultura e della letteratura. Lui allora era joyciano e io appunto hemingwayano: ricordo, all’altezza di quegli anni, una sortita in una libreria di Formia dove lui acquistò per l’appunto l’Ulisse di Joyce e io un paio di libri di Hemingway, tutto negli Oscar. E tra il 1976-77, alla radio locale, “Mondoradio”, dove facevamo il programma “Mondocultura”, tenemmo due puntate sui nostri rispettivi eroi letterari.
Ma torniamo a quel balcone cilentano. La copia del libro tradotto da Mantovani era anch’essa uscita in Italia nel 1970: era un quasi fresco di stampa, il volume che tenevo in mano su quel balcone. Le mie domestiche vicende balneari e marine di quell’estate venivano così trasfigurate, come sempre accade, al ritmo della grande letteratura. Il ritmo, questo già avvertivo nelle pagine di Hemingway, seppure in traduzione. Come il ritmo delle onde del mare di Santa Maria in cui mi immergevo realmente, così mi trascinava il ritmo della sua scrittura e rendeva quell’altro andirivieni ondoso. Dal cielo e mare del Cilento a quello tra Florida e Cuba. Le letture continuavano sotto l’ombrellone, tra un bagno e l’altro e gli anti-eroi hemigwayani davano un sapore eroico alle mie immersioni:
dalla barca d’altura di Isole della corrente al mio canotto gonfiabile il passo era breve. Il ritmo: se ne parlava credo nelle pagine dell’antologia critica che gli Oscar premettevano sempre all’opera, così lì dovetti leggere del giudizio di H. D. Lawrence (non posso controllare ora i riferimenti) sulla prosa di Hemingway paragonata all’acqua limpida di un torrente che nel suo scorrere lascia intravedere i ciottoli del fondo. Tutti andavano spulciati quei benemeriti Oscar di una volta: come la tavola sinottica iniziale che, in tre bande parallele, raccontava la vita dell’autore, gli avvenimenti letterari e gli eventi storici. Preziosa fonte di alfabetizzazione culturale per giovani menti assetate. E, in contro-copertina, il ritratto dell’autore. E lì, in un ovale (o tondo?) l’Hemingway barbuto nel grosso maglione marinaro a collo alto.
Prima di quel libro avevo letto delle pagine, folgoranti, tratte da Addio alle armi, inserite nella benemerita, anch’essa, antologia del biennio Best-Sellers del ’900 che Giuseppe Galleno aveva curato per Sansoni nel 1970 (sempre quel fatidico ’70 che è poi l’anno in cui, lasciata Genova, dove sono nato, ero approdato a Palma Campania, nell’estrema provincia di Napoli, incastonata tra quelle di Avellino e Salerno). Dopo sarei stato nella Parigi e nella Pamplona di Fiesta (e poi di nuovo a Parigi con Festa mobile, ambedue riletti negli anni Novanta per scriverne su “Bergamo-Oggi”, nella città orobica dove a lungo ho poi vissuto), nella Spagna di Morte nel pomeriggio e Per chi suona la campana, nel continente nero di Verdi colline d’Africa, nella disseminazione topografica dei Quarantanove racconti, sulla barca con Il vecchio e il mare, nella Venezia di Di là dal fiume e tra gli alberi, e quant’altro…
Da quel balcone affacciato sul fresco vicolo del borgo marinaro (ma la casa alle spalle era caldissima) il ragazzo quindicenne aveva cominciato il viaggio nel mondo e nei libri che del mondo parlano.
Enzo Rega
Siracusa (nella strada in cui è nato Elio Vittorini), 21 luglio 2011
8 commenti:
Bello, Enzo. Grazie! Anch'io alle prese con il mitamericanismo (Pavese, Vittorini) per una rece. Già, Vittorini... la sua casa natale. Che con il balcone di Santa Maria entrano di diritto nella blogosfera dei pennuti e calamaio. Stammi bene. Un abbraccio. Un bacio a Vita. Annibale
Un saluto ad Annibale, uno dei miei principali interlocutori nonché lettori digitali. E' bello riscoprire un'amicizia così dopo (per me) i cinquant'anni...
Molto belle e intime queste tue pagine, Enzo, in cui confessi le tue letture adolescenziali.
Anche io sono un seguace dell'autore de Il vecchio e il mare, e penso di aver letto gran parte della sua produzione. In questi giorni mio figlio ha scovato in una vecchia edizione oscar mondadori Festa Nobile, quando il nostro amato combatteva con le ristrettezze finanziarie a Parigi. L'ho letto senza staccarmi mai. Sono attratto dalla sua scrittura, e in particolare ho riletto più volte Addio alle armi, su cui ogni paio d'anni, ritorno.
E'significativo che tra noi corrano questi legami di sangue letterario,attraverso questi siamo più vicini.
Cari Saluti a te e vita gaetano
Piacevolissima lettura. L'adolescenza e i primi libri che svelano la bellezza. Posso ricordare anch'io le emozioni e il coraggio che mi infusero certi libri. Un caro saluto
Vera
Un saluto anche a Gaetano e a Vera e un pensiero a quest'intreccio di letture tra Siracusa e Napoli, e quant'altro...
Grazie. I ricordi comuni ci accompagnano e ci avvicinano. SONO COMUNI NEL VERO SENSO. uN CARO SALUTO DALL'ANDALUSIA. PINO IONTA
Per Pino in Andalusia, olè
Complimenti e grazie Enzo! Hai da tempo trovato un modo originalissimo e viscerale di raccontare le storie che ti legano ai libri, ben condivisibili d'altronde. Poter commentare a distanza di così tanto tempo dalla originaria pubblicazione ne è una dimostrazione.
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