Perché?

Perché questo blog?
Per chi ama ancora la galassia Gutenberg?
Per chi ha paura dell'invasività della tecnica disumanizzante?
Per chi ritiene indispensabile ancora la cultura umanistica?

Affinché la tecnica sia davvero mezzo e non fine

sabato 3 ottobre 2020

Leonardo Sinisgalli: industria e letteratura

Commenti
Si legge sul “Corriere della sera” di stamattina, 24 aprile 2008, che è in uscita il volume L’anima meccanica. Le visite in fabbrica (1953-1957), curato da Giuseppe Lupo e Gianni Lacorazza per Avagliano editore di Cava de’ Tirreni, che raccoglie reportage scritti per la “La civiltà delle macchine” diretta dal poeta e matematico lucano Leonardo Sinisgalli e finanziato negli anni Cinquanta dalla Finmeccanica presieduta da Giuseppe Nuraghi: illuminato e ormai lontano esempio di interazione fa le due culture, quella letterario-umanistica e quella tecnico-scientifica. Vi collaboravano niente po’ po’ di meno che artisti, scrittori, intellettuali come Giorgio Caproni, Domenico Cantatore, Geno Pampaloni, Franco Fortini, Domenico Rea, Mario Mafai, Carlo Emilio Gadda, Michele Prisco, Franco Gentilizi, Libero De Libero, Giovanni Arpino, Alfonso Gatto, Giovanni Comisso, Alfonso Gatto, Giovanni Arpino, Emilio Tadini, Emilio Villa, e scusate se è poco. Nel clima della modernità – e non in quello edonistico e dispersivo della postmodernità – da un lato l’industria esercitava un’attrazione fatale sugli uomini di cultura (vedi i romanzi di Ottieri e di Volponi, sempre in quegli anni, sul mondo delle fabbriche). Dall’altro, gli stessi industriali non dimenticavano la loro provenienza umanistica e, come Pirelli e Olivetti, diventavano mecenati e tenevano a fregiarsi di un umanistico fiore all’occhiello. Gillo Dorfles, che fu amico di Sinisgalli, ricorda – e lo leggiamo sempre sul “Corriere” ,  “che queste riviste aprivano dibattiti d’attualità, su temi come la politica, la filosofia, il design, l’architettura, la scienza – e aggiunge: – I periodici aziendali di oggi sono vacui dal punto di vista culturale, pubblicitari o informativi” quali sono diventate. Sinisgalli riusciva a coniugare la trasfigurazione mitica della sua Lucania rurale con l’impegno di “tecnico” nel Nord industrializzato. Ora forse la tecnica, per dirla con Heidegger, ma anche con la Scuola di Francoforte, ha svelato appieno la propria essenza e assolutizzato la propria “ragion strumentale”. Idem il capitalismo, che non si preoccupa più di essere “temperato” e risvela il suo volto aggressivo. Non è più possibile allora una “civiltà delle macchine”. Dovremo rassegnarci alla loro più brutale “inciviltà”?

Nessun commento: